Centri di permanenza per rimpatri: vermi per cena e altri maltrattamenti. Siamo davvero un “Paese civile”?

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È il 30 maggio e siamo nel CPR di via Corelli a Milano. È l’ora di cena e gli ospiti si vedono servire vaschette con pollo e strani pezzetti bianchi. Inizialmente sembrano chicchi riso ma poi, a ben guardare, si muovono. Sono vermi. A denunciare il fatto è “Mai più lager – No ai CPR”, un collettivo di attivisti che si batte per i diritti dei migranti trattenuti nei Centri di permanenza per rimpatri di tutta Italia.

Il fatto

Alcuni trattenuti del Centro di permanenza per rimpatri di Milano hanno fatto un video al cibo avariato e lo hanno condiviso con gli attivisti in modo che la loro voce potesse uscire dal centro. Alle lamentele degli ospiti, l’”ispettore” afferma senza troppe remore che si tratta di riso ma la risposta dei ragazzi è unanime: “come può essere riso se si muove?”.

Il problema legato alla distribuzione di cibo nel CPR di via Corelli è ormai di lunga data e in più occasioni “Mai più lagher – No ai CPR” ha denunciato le scarsissime norme igieniche del centro, soprattutto in fatto di conservazione degli alimenti. Il CPR, infatti, non ha una cucina e per la somministrazione dei pasti si affida a servizi di catering esterni, inoltre non ci sono frigoriferi adeguati per poter mantenere fresco il cibo. Per non parlare del fatto che c’è il fondato dubbio che non venga nemmeno confezionato fresco.

Ogni volta che i trattenuti ricevono un piatto (una vaschetta di polistirolo sigillata da un film di plastica), quindi, è una sorpresa. Cibo scaduto, avariato, maleodorante e, per non farci mancare niente, adesso anche brulicante di vita. Un NON servizio coi fiocchi.

L’inesistenza, poi, di un’etichetta che specifichi il soggetto produttore è un sintomo lampante della mancata assunzione di responsabilità. Infatti, manco a dirlo, c’è un costante rimpallo di responsabilità tra la gestione del centro, la prefettura e il servizio del catering , tutti però sono felicemente uniti nel negare ogni accusa.

Ma le immagini sono  chiare, i video non mentono e il fattaccio di martedì sera non è un’eccezione. Quello che lo rende un’eccezione è il video dovuto al coraggio di alcuni trattenuti che, esasperati dal trattamento a dir poco riprovevole, lo hanno condiviso con gli attivisti.

Il servizio catering

Attualmente il servizio di catering del centro Corelli è affidato a Martinina S.r.l. che aveva vinto il bando per distribuire i pasti a circa 80 trattenuti. Da mesi, però, il centro ospita “solo” 28 persone e quindi è chiaro che per l’azienda le entrate scarseggiano. Quindi cosa fare per limitare i danni? Ovvio, risparmiare sulla qualità del cibo servito per risparmiare denaro.

Il risparmio sul cibo è classicamente uno di quei tagli ai servizi effettuati dai gestori per massimizzare i profitti, che incidono direttamente sui diritti dei trattenuti, e in particolare sulla loro salute.

Prima di Martinina S.r.l. si sono succedute il Progetto Mirasole di Fondazione Arca (denunciato e segnalato alla prefettura numerose volte), e Engel S.r.l. attualmente in tribunale per i medesimi motivi.

I trattamenti all’interno dei Centri di permanenza per rimpatri

“Mai più lager – NO ai CPR” denuncia situazioni inaccettabili all’interno dei Centri di permanenza per rimpatri.

È del 23 aprile un video che testimonia le percosse subite da un ragazzo nel CPR di Gradisca d’Isonzo: un gruppo di agenti in tenuta antisommossa con i manganelli in mano lo sbatte letteralmente in cella dopo averlo picchiato. Era uscito nel cortile esterno chiedendo a gran voce di poter nominare un avvocato.

Sempre ad aprile, un altro ragazzo malato di diabete è andato in coma per non aver ricevuto cure adeguate e tempestive. Ed è stato rimpatriato ancor prima di riuscire a nominare un avvocato che approfondisse le condizioni dei trattenuti nei centri di permanenza per rimpatri.

Questi sono solo due esempi ma la lista di maltrattamenti è molto lunga e il collettivo di attivisti li colleziona tutti per poi denunciarli alle autorità nella speranza di smuovere la coscienza di qualcuno in modo che la situazione possa cambiare.

Ma cosa sono i Centri di permanenza per rimpatri?

I CPR sono strutture di trattenimento per stranieri irregolari in attesa del rimpatrio. Sul sito ufficiale della Camera dei Deputati si legge che

In tali strutture lo straniero deve essere trattenuto con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della sua dignità.

In Italia sono 10 e sono diffusi su tutto il territorio nazionale ma solamente in 2 (Milano e Gradisca d’Isonzo) i trattenuti possono utilizzare lo smartphone. Non è un caso, quindi, che la maggior parte delle denunce e delle testimonianze di abusi e maltrattamenti arrivino proprio da lì.

In realtà gli altri centri non sono da meno, tant’è che 13 marzo scorso il Consiglio comunale di Torino ha addirittura proposto al Governo la chiusura definitiva del centro torinese a seguito del susseguirsi di proteste da parte dei trattenuti e degli attivisti. E ha chiesto che

Le risorse liberate da questa scelta siano impiegate a tutela della popolazione cittadina e a favore di una gestione delle politiche migratorie attenta ai diritti delle persone e volta a una piena integrazione.

La condizione del CPR è la medesima di tutti gli altri: cibo scaduto e avariato, maltrattamenti, mancanza di adeguate cure mediche e molto altro.

Alcune testimonianze dal CPR di Torino

Il collettivo “No CPR Torino” ha raccolto alcune testimonianze agghiaccianti (anonime):

Sono nel centro di espulsione di Torino. Io non lo chiamo centro di espulsione ma campo di concentramento perché ci trattano come animali. La gente è disperata. Io per esempio, quando sono arrivato mi hanno lasciato 24 ore al fresco per darmi il benvenuto. Quando ha nevicato la gente tremava per il freddo perché non aveva le giacche. Quando le abbiamo chieste, ci hanno riso in faccia.

Si chiamano forze dell’ordine, qualcosa che ti deve proteggere, teoricamente. Non qualcuno che quando arrivi ti tortura. Non hai diritti, una volta arrivato in quel centro capisci tante cose. Rimani tu in una gabbia in mezzo ad altre gabbie nemmeno abbastanza grandi per farti una passeggiata. Sono celle.

È una mafia qua, te lo giuro. Non puoi parlare: “stai zitto, sai cosa vuol dire stai zitto?” Ti picchiano, te lo giuro, hanno preso una persona e l’hanno massacrata! Hanno massacrato gente di botte! Sono entrati, hanno massacrato di botte un ragazzo e gli hanno pisciato sopra. Ci sono tanti ragazzi che stanno male, ci sono anche persone più vecchie, malati e loro gli danno solo la terapia. Terapia per fare dormire, per stare calmi, capito? Della gente ammalata, nessuno se ne preoccupa.

Siamo nel 2023 e in un Paese che ama definirsi civile e avanzato. Inorridiamo davanti ai trattamenti somministrati ai migranti nei campi di detenzione in Libia e poi, in realtà, non siamo da meno. I diritti umani che ci fregiamo di difendere e di promuovere li facciamo valere solo per chi è come noi. Diciamo che non devono esserci cittadini di serie A e cittadini di serie B ma poi lasciamo che esistano persone di serie A e persone di serie B.

È un bene che ci siano i collettivi di attivisti che raccolgono testimonianze e che denunciano i trattamenti inumani subiti da persone tali e quali a noi. Diverse solo perché non hanno un documento in regola. “Assicurare dignità” come si legge sul sito della Camera sembra un optional.

Ma se non siamo capaci di rispettare concretamente i diritti dell’uomo (qualunque uomo sia) nella nostra beneamata Patria, come possiamo pretendere di essere un esempio per il resto del mondo? Con che diritto andiamo in Libia a dire che stanno sbagliando se poi, in fin dei conti, facciamo esattamente le stesse cose?

Arianna Ferioli

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