La crudele realtà dei centri di detenzione in Libia: una sistematica violazione dei diritti umani

Centri di detenzione in Libia

La ricerca della felicità e della salvezza si trasforma per molti migranti in una disumana ed illegittima prigionia. Sono circa 5.000 gli uomini, le donne e i bambini rinchiusi nei centri di detenzione in Libia in seguito al ritorno forzato imposto dalla Guardia Costiera del paese. Tuttavia, potrebbero rappresentare “solo la punta dell’iceberg“.

Un’emergenza umanitaria tutt’altro che recente

I centri di detenzione in Libia ritornano nel mirino dell’attenzione internazionale nel corso di un briefing con la stampa di marzo organizzato dall’Onu. In questa occasione, Antonio Vitorino, direttore generale dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), ha ricordato la necessità di un’alternativa alla detenzione dei migranti in Libia, denunciando la sistematica “violazione dei diritti dei migranti” che si verifica nel paese. Non solo, Vitorino non nasconde il suo timore per la presenza di centri “non ufficiali” di cui né l’Oim né l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), responsabili di garantire aiuto ai migranti, sono a conoscenza.

Quella dei centri di detenzione in Libia è una realtà, oltre che crudele, longeva. Migliaia di migranti provenienti dall’Africa sub-sahariana, dal Medio Oriente e dall’Asia meridionale considerano la Libia una via preferenziale per il loro viaggio della speranza. Questo processo è stato messo in moto in particolare dalla caduta del regime di Gheddafi nel 2011. Era difficile immaginare per i migranti l’esistenza di un destino peggiore rispetto all’intrapresa di un pericoloso, e potenzialmente mortale, viaggio pur di fuggire da guerra e miseria. Al peggio, tuttavia, sembra non esserci mai fine. Lo dimostrano le condizioni impietose in cui i detenuti dei centri libici sono costretti a vivere, senza sapere se e quando verranno rilasciati.

Le organizzazioni internazionali denunciano i centri di detenzione in Libia

La tragica realtà dei migranti detenuti in Libia non solo è longeva ma anche ben documentata. Organizzazioni internazionali come Save the Children o Amnesty International denunciano da anni i trattamenti degradanti a cui sono qui sottoposti uomini, donne e bambini. A gennaio 2020, Save the Children Italia ha intervistato Alessio Romenzi, fotografo di guerra e di crisi umanitarie, testimone delle atrocità delle prigioni libiche. Questi racconta le terribili sofferenze che i migranti sono costretti a patire: affetti da gravi malattie come la tubercolosi, ma impossibilitati ad accedere a qualunque tipo di assistenza medica, o picchiati “con spranghe di ferro, o di plastica squagliata addosso“.

Ben lontani da essere dei “centri di accoglienza”, come vengono definiti ufficialmente, i centri di detenzione in Libia costituiscono dunque uno scenario a dir poco drammatico su cui l’Onu stessa ha steso diversi rapporti. Le organizzazioni internazionali non si limitano tuttavia a denunciare i centri: l’Unione Europea e i suoi stati membri sono riconosciuti ugualmente colpevoli.

Unione Europea e Italia: corresponsabili della tragedia

Di fronte a questa emergenza umanitaria, UE e Italia chiudono non uno, ma entrambi gli occhi, continuando a stringere alleanze con la Libia. Un paese che dal 2014 è impegnato in una sanguinosa guerra civile che ha creato un clima di forte instabilità e violenza generalizzata. Tutto questo però non ha importanza per i paesi europei se significa la possibilità di scaricare la responsabilità del problema dell’immigrazione a qualcun altro.

Non solo si stringono alleanze, ma si contribuisce attivamente al “corretto funzionamento” dei centri di detenzione in Libia. Tra il 2017 e il 2021, la Guardia Costiera libica è stata finanziata attraverso il Fondo fiduciario Africa-Europa per un totale di 91,3 milioni di euro. Il caso ancora più emblematico, e che ci tocca in prima persona, è però quello del Memorandum Italia-Libia.

Firmato per la prima volta nel febbraio del 2017 e rinnovato lo scorso novembre, il Memorandum impegna Italia e Libia in “processi di cooperazione, contrasto all’immigrazione illegale e rafforzamento della sicurezza delle frontiere“. In cosa si traduce questo impegno? In un sostegno economico e tecnico alle autorità libiche affinché possano continuare a sorvegliare i flussi migratori nel Mediterraneo. Sostenere la Guardia costiera significa sostenere i responsabili della detenzione e della tortura di migliaia di migranti, portati in centri come quello di Al Nasr a Zawiya, uno dei luoghi di tortura più celebri dove, a soli tre chilometri dal porto, i detenuti sono vittime di violenze fisiche e sessuali. Per tagliare corto, il Memorandum Italia-Libia è indirettamente, ma non per questo meno gravemente, responsabile di sistematici abusi contro migliaia di persone innocenti e indifese. Azione che rientra a tutto titolo nella definizione di “crimine contro l’umanità“.

L’impotenza nei confronti dei centri di detenzione in Libia

Amnesty International ha sottolineato in diverse occasioni come un intervento sia possibile. Il primo passo sarebbe interrompere la cooperazione con la Libia da parte dei paesi membri dell’UE. L’appello più recente, seppur velato, ad un cambio di rotta è stato avanzato dallo stesso Antonio Vitorino che invita l’Unione Europea a dare prova di “chiarezza” e “prevedibilità” riguardo la sicurezza dei punti di sbarco coinvolti nei flussi migratori del Mediterraneo. Il recente rinnovo di un accordo sanguinoso come il Memorandum Italia-Libia dimostra però come non ci sia alcuna intenzione di cambiare posizione riguardo i centri libici.

Si è soliti dire “lontano dagli occhi, lontano dal cuore“. Infatti, come sempre accade, quando le torture e le atrocità avvengono in luoghi geograficamente lontani (anche se non così lontani in realtà) a trionfare è sempre l’indifferenza. Non ci si sente chiamati in causa a sufficienza. L’impotenza delle organizzazioni internazionali che lavorano per la tutela dei diritti umani sembra dunque totale di fronte a patteggiamenti politici che di “umano” non hanno nulla.

Sono quasi 100 mila i migranti che fra il 2017 e il 2022 sono stati intercettati in mare e portati nei centri di detenzione in Libia. Quella della Guardia costiera libica è tutto fuorché un’operazione di salvataggio, è solo un’impietosa e ingiusta detenzione. Una violazione dei diritti umani i cui numeri sono probabilmente molto più preoccupanti di quanto siamo a conoscenza. E mentre parliamo di una tragedia umanitaria, se ne annuncia un’altra: la vita di 500 persone è in pericolo in un’imbarcazione al largo della Libia. Stavolta si agirà concretamente? O ancora una volta piangeremo solo a posteriori il sangue di persone di cui inizialmente ci si è lavate le mani?

Caterina Platania

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