Il presidente della Repubblica delle Filippine, Rodrigo Duterte, personaggio politico controverso, ha annunciato di volere avviare la centrale nucleare di Bataan, richiamando l’attenzione della comunità internazionale sull’impianto “dimenticato”. Per la riaccensione, Duterte ha bisogno del via libera dell’agenzia internazionale per l’energia atomica (International Atomic Energy Agency, Aiea).
Una lingua di terra, circondata da oltre 7mila isole, nell’oceano Pacifico: le Filippine sono da sempre esposte ai terremoti, agli tsunami e ad altri eventi climatici come tifoni e monsoni. Negli ultimi anni intensificatisi a causa del cambiamento climatico.
Non è la prima volta che le Filippine annunciano di volere produrre energia elettrica utilizzando il reattore nucleare di Bataan. Le perplessità sono tante, soprattutto, sulla sicurezza della centrale dotata di una tecnologia obsoleta e oggetto di corruzione e malgoverno. Il presidente ha promesso una maggiore autonomia energetica e il taglio del costo dell’elettricità, uno dei più alti del Sud Est asiatico, per favorire la popolazione. Le famiglie spendono circa il 20-30 per cento del loro reddito per il proprio fabbisogno energetico.
La centrale nucleare di Bataan
Progettata per fare fronte al primo shock petrolifero del 1973, i lavori di costruzione iniziano nel 1976 e si concludono nel 1984. Dopo un paio di anni, la centrale viene definitivamente chiusa e dimenticata. È il 1986, il popolo filippino si lascia alle spalle 21 anni di dittatura di Ferdinand Marcos salito al potere nel 1965. Secondo i piani originari dovevano sorgere due impianti nucleari nella provincia di Bataan.
Dalla caduta del regime di Marcos, dopo la rivoluzione del “potere al popolo” che conduce Corazon Aquino alla presidenza, le Filippine tentano più volte di riavviare senza successo la centrale nucleare. Ogni preparativo fallisce. Interrotto dal disastro di Chernobyl e dal forte scetticismo del popolo sul nucleare. I filippini vogliono lasciarsi alle spalle i frutti del regime di Marcos
Le crisi energetiche e la centrale di Bataan (1974 -1986)
Da sempre le Filippine dipendono dalle importazioni di combustibili fossili. Dal 1986 in poi il governo decide di lasciare la centrale nucleare in “modalità protezione” ma le crisi energetiche degli anni Novanta e il rialzo del prezzo del petrolio nel 2007 lo costringono a valutare (nuovamente) la riaccensione della centrale nucleare di Bataan.
In questi anni, il Paese impegna tecnici e ricercatori per valutare seriamente la riapertura ma l’incidente nucleare di Fukushima nel 2011 blocca l’operazione. Nel frattempo prende forma un forte movimento popolare che chiede una moratoria sul nucleare. Ad alimentare posizioni contrarie all’uso della centrale, lo sviluppo delle tecnologie per la produzione di energia da fonti rinnovabili: eolico e solare. Ma anche e, soprattutto, l’ascesa del gas naturale.
Tra corruzione e malgoverno
Dietro la centrale nucleare di Bataan si cela una gestione corrotta dello Stato. A presentare al governo filippino i progetti sono due aziende americane General Electric e Westinghouse. Scarseggiano dettagli sulle tecnologie, sui costi, sui tempi di realizzazione. Le Felippine scelgono di affidarsi alla General Electric, quando all’improvviso Marcos decide di consegnare l’appalto alla Westinghouse.
Il costo per la centrale nucleare supera un miliardo di dollari. Nel progetto della Westinghouse è incluso un solo reattore. Nel 1979 l’incidente nucleare di Three Mile Island negli Stati Uniti interrompe i lavori. Viene avviata una inchiesta di verifica sull’impianto di Bataan non ancora terminato. La centrale sembra essere già un fallimento: l’inchiesta non solo svela l’inadeguatezza del sito prescelto – una delle aree più pericolose dal punto di vista sismico – ma anche oltre 4mila difetti di costruzione.
Nonostante ciò, riprendono i lavori. Nel 1984 la centrale di Bataan è terminata ma a caro prezzo. Il costo complessivo dell’impianto supera i due miliardi di dollari. Il reattore nucleare allestito dalla Westinghouse ha una capacità energetica di circa 621MW. Il neo presidente Aquino decide di congelare l’impianto, e intraprende azioni legali contro la Westinghouse accusandola di corruzione e di avere gonfiato il costo del progetto. Il tentativo del nuovo governo si arena: i giudici americani negano il risarcimento del danno alle Filippine chiudendo così il capitolo della centrale nucleare di Bataan.
Chiara Colangelo