Il centenario della marcia su Roma è l’occasione giusta per studiare il fascismo. Ecco l’eredità culturale fascista che passa inosservata
Il dibattito pubblico ha spesso abusato l’aggettivo ‘fascista’, facendolo coincidere, a torto, con il conservatorismo. In Italia l’MSI ha rappresentato una sorta di continuità con il Ventennio, poiché i missini erano in effetti dei neofascisti, dunque qualcosa di nuovo. Detto ciò, la decennale contesa è stata chiusa dall’elezione di Ignazio Benito Maria La Russa a seconda carica dello Stato. L’arco repubblicano in cui è compreso il partito dell’attuale premier ha quindi poco da spartire con l’eversione tipica degli estremismi: la condotta istituzionale di Giorgia Meloni è stata impeccabile.
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Il centenario della marcia su Roma e il tabù sul fascismo
Quest’ottobre ricorre il centenario della marcia su Roma e il fascismo è ancora un tabù: per i nostalgici, che quasi sempre cascano sulle leggi razziali; per la sinistra, che spesso dimentica la provenienza socialista di Mussolini; per alcuni giornalisti, che forse non si accorgono del loro lessico simile a quello del Duce. Insomma, un movimento convulso come il fascismo ha lasciato un’eredità culturale che lo è altrettanto. Perfino la marcia su Roma è difficile da definire, perché più che un colpo di Stato fu un’intimidazione andata a buon fine, vuoi anche per la complicità delle forze dell’ordine. Oltretutto, lo Stato liberale era morto da un bel pezzo; già prima della marcia su Roma, i fascisti avevano spesso svolto il compito dei prefetti.
In questo telegramma dell’ottobre 1920, il prefetto di Milano spiega a Giolitti l’acquiescenza statale nei confronti della reazione fascista agli scioperi socialisti: “Ricevuto visita di Mussolini che mi ha dichiarato fascisti e nazionalisti essere fermamente decisi opporsi con ogni mezzo anche più violento contro intemperanze partiti estremi che portano Italia alla rovina. . . Si dichiara pronto con i suoi a osservare ordine e legalità qualora governo faccia rientrare ordine pubblici funzionari caso contrario non sarebbe risparmiato alcun eccesso.”
Il fascismo non nacque di destra
Far coincidere il primo fascismo con un’ideologia politica equivarrebbe a commettere un madornale errore storico. I primi fascisti erano infatti ex combattenti della Prima guerra mondiale: mutilati, arditi e, molto semplicemente, reietti. Come antidoto alla paura del biennio rosso nacque invece lo squadrismo, il quale si manifestava sia negli assalti ai sindacati e sia nelle spedizioni punitive ai danni dei capilega. Fu solo in quella fase storica che il fascismo trovò il sostegno della destra: dagli agrari agli industriali, perfino i liberali!
Nel novembre del 1920, il borghese “Corriere della Sera” scriveva: “Di chi è la colpa? Chi se non il Partito socialista aspira in Italia alla guerra civile? Chi se non il Partito socialista crea e vuole questo ambiente di battaglia selvaggia? La battaglia trova necessariamente i suoi combattenti anche dall’altra parte. . .”
Quel fascismo di sinistra
Benito Mussolini è partito socialista ma non ci è arrivato. Oltre alla sua fase di militanza nel PSI, il fondatore dei fasci di combattimento mantenne alcune idee di sinistra anche dopo la sua cacciata dal partito. Ne è la prova il programma sansepolcrista pubblicato su “Il popolo d’Italia” nel giugno del 1919. Prima delle elezioni che videro la sua umiliazione, Mussolini sperava di ricucire con i socialisti. Fu solamente per bieco opportunismo che avvenne la svolta a destra. C’è poi un personaggio paradossale che ben rappresenta la doppia faccia del fascismo, ovvero Nicola Bombacci, uno dei fondatori del PCI, il quale appoggiò Mussolini fino alla Repubblica di Salò, finendo appeso anche lui a Piazzale Loreto.
Mussolini, il padre di tutti i populisti
Constatato che l’ideologia fascista fosse bifronte, qual è DAVVERO l’eredità culturale lasciata dal Duce? Molto probabilmente il populismo, tesi sostenuta anche da Antonio Scurati, autore del primo romanzo storico sul fascismo.
Mussolini e compagnia cantante avevano un atteggiamento sprezzante verso la classe politica, che loro chiamavano ‘casta’. Pane al pane e vino al vino: il fascismo è stato antiparlamentare ben prima che lo fossero Grillo e Di Maio. La marcia su Roma avvenne anche per impedire che il fascismo finisse risucchiato nelle dinamiche partitiche, dacché la sua forza era proprio nell’eversione violenta. Un celebre cronista italiano diceva che i dittatori non ammazzano le democrazie, le seppelliscono soltanto.
Matteo Petrillo