Sarebbe venuto a conoscenza del Coronavirus già da inizio gennaio. Questo il sospetto che grava sul presidente cinese Xi Jinping che, secondo alcuni documenti ufficiali, sembra aver fatto riferimento al virus SARS-CoV-2 già al 7 gennaio. Come la censura sul Coronavirus ha esposto migliaia di persone al pericolo e ha compromesso la già ambigua reputazione del colosso economico cinese.
Un ritardo di 13 giorni
La cosa è abbastanza sottile ma è molto inquietante: prendete il periodico bimestrale del Comitato centrale del Partito comunista cinese. Nel suo numero del 15 febbraio, la pubblicazione ha citato un discorso del presidente del 3 febbraio. Rivolgendosi alla nazione, Xi Jinping ha sostenuto di aver affrontato la questione già nel Comitato permanente dell’ufficio politico del Partito risalente appunto al 7 gennaio, soprattutto approfondendo la gestione dei primi casi di contagio. C’è però un grande “ma”. Le prime dichiarazioni pubbliche presidenziali sul virus, infatti, risalgono al 20 gennaio, 13 giorni dopo.
Il dettaglio ancor più sinistro è relativo alla data del primo decesso registrato a Wuhan a causa del coronavirus, il 9 gennaio. Se già il Comitato permanente se ne era occupato due giorni prima, come organo di supervisione al partito, vuol dire che era a conoscenza della gravità della situazione. Nella nota diffusa dalla stampa sulla riunione del 7 gennaio, però, non si faceva nessuna menzione del Coronavirus.
C’è qualcosa che non va
Per giorni, il presidente Xi aveva taciuto sull’emergenza sanitaria. Complice la diffidenza verso la trasparenza del governo cinese, nel mondo si è infatti diffusa l’impressione su un insabbiamento politico e di censura sul Coronavirus, almeno nella sua prima fase. Anche in Cina, nonostante gli sforzi del governo centrale, le notizie sono ormai sfuggite al controllo. C’è chi ritiene che la discrepanza nei tempi di gestione dell’emergenza sia data da un maldestro tentativo del presidente Xi di mostrare maggiore trasparenza, ostentando sicurezza. Xi pensava di riuscire a comunicare che già da tempo la grande macchina cinese aveva il controllo della situazione, ma la realtà dimostra altro. “La pezza peggio del buco”, si dice in questi casi: l’effetto ottenuto è stato quello di dilatare addirittura l’arco temporale di mancata messa a punto delle strategie sanitarie adeguate, anche attraverso l’informazione alla popolazione.
In questo intervallo di tempo, infatti, proprio nella città di Wuhan, il governo ha concesso l’organizzazione di un evento pubblico con la partecipazione di 40 mila persone. A questo va ad aggiungersi, sempre nella stessa città, la riunione locale del Partito Comunista.
Un problema di immagine compromessa
Dopo aver inizialmente sottovalutato l’entità dell’emergenza, il governo ha cercato di recuperare l’immagine ormai compromessa di efficienza e capacità di gestione, costruendo ospedali in tempi record ad esempio. Ma possono l’architettura e l’ingegneria tamponare i danni di quella che è comunque una dittatura? Se anche le tempistiche e l’efficienza nei cantieri sono da record, rimangono le magagne strutturali dell’insabbiamento posto in essere dal governo. Il medico di Wuhan che per primo aveva individuato il problema è stato posto sotto silenzio per via dei danni che avrebbe provocato una notizia del genere all’immagine del Paese ed è deceduto poi per la malattia.
Le pressioni sui giornalisti
A pagare il prezzo della censura sono stati poi alcuni giornalisti, come Chen Quishi, di cui non si hanno notizie da diversi giorni, dopo che si era spostato a Wuhan per documentare la situazione. Come per i cantieri, la risposta del governo è stata veloce: centinaia sono stati i giornalisti inviati nelle zone di crisi, perché alimentino la retorica di un paese che sa perfettamente gestire l’emergenza.
La politica locale
La politica non ha subito sconti e la censura sul Coronavirus ha già colpito. Il segretario del Partito Comunista cinese della zona è stato rimosso, così come il direttore dell’Ufficio per gli affari di Hong Kong e Macao. L’autorità centrale, quindi, nel momento di difficoltà scarica il barile della responsabilità sui volti locali, capri espiatori che il Partito rimuove per rafforzare se stesso.
Messaggi in codice per parlare di Coronavirus
Molte sono ormai le voci autorevoli che hanno preso una posizione netta a riguardo. Più sottile, invece, il mondo di Internet. La gente si arrangia come può e, secondo il New York Times, ogni giorno emergono nuovi escamotage per aggirare la censura. Il governo, a dire il vero, lascia correre gli sfoghi contro i referenti politici locali: l’obiettivo è salvare il potere centrale. Tanto meglio se a cadere sono i pesci piccoli. Nessuna tolleranza, quindi, per le critiche rivolte al presidente Xi Jinping, che vengono rimosse in modo rapido, grazie anche ad algoritmi che individuano velocemente le parole chiave sensibili.
Nei giorni di silenzio del presidente Xi, molti utenti si chiedevano sui social dove fosse finita “quella persona”. Con una certa ironia, bisogna ammetterlo, alcuni hanno poi iniziato ad adottare lo pseudonimo “Trump” per il presidente cinese, rendendo difficile la distinzione di notizie realmente basate sul presidente Usa e quelle invece di critica a Xi.
Anche sui forum e sui social che non c’entrano nulla
Altri hanno poi approfittato di un social utilizzato solitamente per scambiarsi pareri su film e serie tv per passarsi informazioni in merito al Coronavirus. In particolare, molti hanno redatto delle recensioni creative della serie tv Chernobyl di HBO. Al posto dell’emergenza radiazioni, però, si parlava in codice dell’epidemia in atto. Anche riviste non direttamente controllate dal governo, ma comunque sottoposte agli stretti vincoli della propaganda, sembrano avere alzato il tiro. Hanno pubblicato video e testimonianze di cittadini in difficoltà nel trovare strutture in cui recarsi.
Cos’è il progresso senza democrazia?
Cinicamente, il coronavirus poteva essere un’occasione per la Cina per scollarsi di dosso l’etichetta della censura. Al di là del numero preoccupante di morti e di contagiati, tutti gli sforzi del governo centrale di Pechino per mantenere intonsa l’immagine dell’efficienza e della credibilità cinese si stanno rivelando controproducenti. Questa storia, seppure il giudizio sia prematuro, può fornire un’interessante chiave di lettura della società. Non ci si può illudere di costruire una società tecnologicamente ed economicamente avanzata, se il tasso di democrazia non va di pari passo.
Elisa Ghidini