La dura censura del governo turco: distrutti oltre 300mila libri

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E’ dura la censura del governo turco contro l’opposizione. Il Ministro dell’istruzione Ziya Selçuk ha dichiarato, rispondendo alle domande della deputata Konya Kara Esin, di aver distrutto ben 301.878 libri.

Ufficialmente l’atto sarebbe stato giustificato dalla vicinanza di alcuni autori e case editrici turche a Fetullah Gülen, il predicatore e politologo accusato dal presidente Erdogan di aver architettato il golpe del 2016.

Gülen vive negli USA dal 1999 ed è stato un alleato di Erdogan per diverso tempo. La rottura politica tra i due risale al 2013 quando un’inchiesta per corruzione travolse il governo turco e Gülen espresse profondo dissenso. Dopo questo caso il predicatore turco venne accusato di operare per creare uno stato parallelo. Infatti attorno alla figura di Gülen si riunisce il movimento Hizmet impegnato per l’accesso libero all’istruzione e basato su valori pacifisti. 

Il movimento di Gülen è stato dichiarato fuori legge ma continua ad operare soprattutto nelle università, nelle organizzazioni caritatevoli e attraverso radio e giornali.  Hizmet ha spinto Erdogan  a preoccuparsi più volte dell’ influenza di Gülen prendendo misure particolarmente restrittive sulla libertà di stampa e sull’educazione nelle scuole. Dopo il fallito di colpo di stato del luglio 2016, la strategia di censura e oppressione e di Erdogan ha raggiunto livelli tanto alti quanto ridicoli.



Nel 2016 il governo turco ha bandito un libro di matematica solo perché in un esercizio scriveva “… dalla lettera F alla G…” riportando quindi le iniziali di Fetullah Gülen.

Per lo stesso motivo Erdogan ha sequestrato tutte le targhe con “FG”. Nello stesso anno il quotidiano Birgun daily ha riportato la distruzione di 1.8 milioni di libri di testo per la parola “Pennsylvania”, cioè dove Gülen vive da vent’anni.

L’organizzazione internazionale PEN, che si occupa di letteratura e libertà di espressione, ha allarmato sulla censura del governo turco. Secondo i suoi esponenti infatti Erdogan ha decimato gli editori accusandoli di propaganda terroristica. Bisogna tenere presente però che per il governo turco qualsiasi cosa si opponga alla sua azione politica può essere classificato come “terrorismo”.

Il possesso di libri che contengono il nome di Fetullah Gülen o qualsiasi informazione lo riguardi è considerato un reato dalla polizia turca.

La censura non si è fermata alle pubblicazioni esplicitamente legate al movimento Hizmet, ma ha  come obiettivo quello di eliminare qualsiasi cosa che possa ricordare l’esistenza dell’oppositore.  L’azione di repressione culturale infatti si rivolge in modo particolare ai giovani e quindi ai libri di testo, con l’obiettivo di fabbricare una generazione immune al dissenso. La strategia, piuttosto tradizionale, adottata dal governo è quella di avvicinare l’immagine dell’intellettuale a quella del terrorista. Per questo il nome di Can Dündar, giornalista che ha mostrato i legami tra il governo turco e i combattenti islamici siriani, è stato rimosso da tutti i libri di testo.  Il Ministro dell’istruzione ha detto che era inaccettabile che i ragazzi nelle scuole dovessero studiare gli scritti di un terrorista, eppure parliamo di un intellettuale che ha denunciato un’operazione terrorista.

Secondo un rapporto di PEN dell’anno scorso, dopo la dichiarazione dello stato d’emergenza da parte di Erdogan, le limitazioni alla libertà di espressione hanno raggiunto numeri spaventosi. Il governo turco indaga 80 scrittori, ha espulso 5822 docenti universitari e chiuso 200 agenzie di comunicazione.

Il maggior nemico di qualsiasi regime, anche di quelli mascherati da democrazia, rimane la cultura. I roghi dei libri nazi-fascisti non sono così lontani e ogni soppressione delle libertà parte sempre con una repressione del pensiero. La demolizione per avvenire deve avere un consenso popolare forte: devono essere gli stessi cittadini a ripudiare le garanzie che hanno a disposizione. Si tratta di una progressiva distruzione delle fondamenta dello stato contemporaneo a cui assistiamo in tutto il mondo. A partire dalla Turchia, storicamente da sempre poco disponibile al dialogo politico democratico, il significato di istruzione e il valore associato alla cultura stanno cambiando.

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