L’annuncio un po’ scherzoso che, lo ammetto, non è farina del mio sacco è il modo in cui si potrebbe sintetizzare l’intervento di Shinya Yamanaka al recente convegno 10 years of IPSCs sull’applicazione in medicina delle cellule staminali che si è tenuto del 25 al 27 settembre presso l’università di Berkeley.
Chi è Shinia Yamanaka
Il grosso problema con cui gli scienziati che tentano di sviluppare tessuto umano in vitro si sono sempre scontrati è che normalmente le cellule umane fuori dal corpo non sopravvivono che per brevi periodi. Dieci anni fa uno scienziato giapponese di nome Shinia Yamanaka scoprì che aggiungendo un mix di geni a una coltura di cellule della pelle di topi queste si trasformavano in un altro tipo di cellule che crescevano tranquillamente, ma non solo, le cellule tornavano a uno stato simile a quello delle cellule staminali e quindi potevano essere trasformate anche in altri tipi di cellule, queste cellule vennero denominate “induced pluripotent stem cells” (IPSC) cioè cellule staminali pluripotenti indotte, la scoperta gli valse il Premio nobel arrivato nel 2011.
Il punto di Yamanaka sull’impiego della IPSC nella pratica clinica
Non si può dire che la relazione di Yamanaka sia una doccia fredda però è stata incentrata sui numerosi problemi anche di costi che ha incontrato quando è passato dai topolini di laboratorio alla sperimentazione clinica.
I costi per esempio sono una conseguenza dei controlli in più che devi fare quando vai ad immettere una colonia di cellule in un paziente umano e non in un topolino cavia, devi controllare che non ci siano mutazioni che anche lontanamente potrebbero essere cancerose, queste sono ore in più di lavoro e più ricercatori al lavoro e questo si traduce in costi, ma l’obiettivo è sviluppare una tecnica medica che non sia solo per pochi ricchi.
Già nel caso del secondo paziente che stava trattando Yamanaka mandò a monte la procedura proprio perché nella coltura c’erano delle cellule mutate e lo fece per principio di massima precauzione anche se le mutazioni osservate non erano conosciute per essere legate allo sviluppo di carcinomi.
La scappatoia dei donatori universali
Adesso le ricerche in Giappone si stanno orientando sui donatori universali, il rigetto delle cellule funziona in maniera simile a quello del sangue con i gruppi sanguigni, le cellule umane hanno due geni marcatori uno ereditato dal padre e uno dalla madre che dicono alle cellule “quella è roba vostra non la rigettate” è stato scoperto che alcuni particolari individui hanno una combinazione di questi marcatori (una coppia di marcatori identici) che permette loro di essere compatibili con un maggior numero di persone, inoltre essendo quello giapponese un popolo con poca varietà genetica (per via dello storico isolazionismo favorito dall’essere uno stato insulare) è stato stimato che basterebbero 140 super donatori per coprire il 90% della popolazione Giapponese.
Per ora il Center for iPS Cell Research and Application (CiRA) conta di avere una banca donatori in grado di coprire il 50% della popolazione entro i prossimi cinque anni. Gli USA dal canto loro non stanno a guardare e la Cellular Dynamics International sta sviluppando con alcuni partner un suo progetto di Banca delle cellule staminali che attualmente coprirebbe circa un terzo della popolazione statunitense.
Roberto Todini