Di Pino Aprile
Cazzullo ci ricasca: è più forte di lui. Vorrebbe contenersi, forse, ma non ce la fa. Così, nella rubrica delle lettere del Corriere della sera (per i più giovani: non è stato sempre così, un tempo la teneva Montanelli), il nostro ha uno scambio di idee (oddio… uno scambio di qualcosa) con un lettore che pone una questione vera e appare informato (il lettore):
“Caro Aldo, ho notato con rammarico che nessuno si è ricordato che il 18 marzo iniziavano le Cinque Giornate di Milano. Anni fa venivano messe le bandierine sui tram e solerti maestre facevano scrivere temi appassionati agli scolari, oltre a qualche gita al museo del Risorgimento in via Borgonuovo. Adesso vedo che è calato un oblio che riguarda un po’ tutti. Ed è un vero peccato perché fu un episodio importante per la nostra città e per l’Italia: l’insurrezione fu davvero popolare e si manifestò quella voglia di indipendenza dalla secolare dominazione straniera che gettò i semi del Risorgimento. Tutti parteciparono alla rivolta, dai popolani ai borghesi ai preti, senza dimenticare il contributo delle donne. Poi arrivarono i Savoia che riuscirono anche a perdere la prima guerra di indipendenza nonostante gli austriaci fossero in fuga e molto scornati. Alberto Sbarra, Milano”.
La risposta di Cazzullo è, al solito, prevedibile e scontata. Cazzullo è una garanzia: per il suo arco, ha una freccia sola. La tira, va a raccoglierla, la ritira… Qualunque sia la domanda, si sa quale sarà la risposta. Nessuno rischia niente, con lui, salvo la noia. Ovviamente, tende a compiacere il lettore (se uno ha carattere…), ma ha un limite: non toccategli i Savoia; infatti, nell’inutile risposta, prende coraggio a due mani e osa: “Sono in disaccordo con lei, caro Alberto, solo sulla critica — che trovo ingenerosa — all’esercito piemontese e alle migliaia di volontari accorsi da tutta Italia per combattere la prima guerra di indipendenza”.
Ovvero: “Che ora è?”. “Piove”. Il lettore dice: “i Savoia che riuscirono anche a perdere la prima guerra di indipendenza nonostante gli austriaci fossero in fuga e molto scornati”. Ed è esattamente quel che accadde. E non solo allora, perché i Savoia non vinsero mai una guerra, salvo quella che i francesi di Napoleone III vinsero per loro e la prima guerra mondiale, quando gli austriaci erano, di nuovo, “in fuga e molto scornati”, perché avevano ormai perso sugli altri fronti (prima di allora, erano riusciti a sfondare giusto su quello italiano, pur se numericamente inferiori, a Caporetto). E a voler fare i pignoli, l’esercito italiano, in quella guerra, perse finché lo comandarono inetti e presuntuosi generali sabaudi e vinse quando ne prese la guida il napoletano Armando Diaz. Anzi, una guerra i Savoia la vinsero, ma solo quando, senza manco dichiararla e spalleggaiti da Gran Bretagna, invasero un Paese amico, il Regno delle Due Sicilie.
E, comunque, perché è “ingeneroso”, il lettore, se cita un fatto inconfutabile? Alle solite: la storia non va raccontata come è, ma come “si deve”. E, a riprova di ciò e dello scarto laterale del nostro (“Che ora è?”. “Piove”), quando qualche verità rischia di disturbare il sonno della ragione, ecco lo schizzetto di veleno finale: non si ricordano quei volontari delle cinque giornate e quei soldati sabaudi sopraggiunti, perché “oggi… vanno di moda i briganti”. Terroni armati anti Savoia.
Niente, il ragazzo è perso: uno ci prova, gli spiega le cose piano piano, gliele ripete, lui sembra fare sì, sì con il capino, poi dice pari pari la stessa sciocchezza di prima.
Vabbuo’, riproviamoci: caro Aldo, i milanesi si ribellavano a un occupante straniero. I Savoia colsero l’occasione e si presero la Lombardia (poi tutto il resto: come un carciofo, foglia a foglia, secondo l’annunciato progetto che poi, solo poi, a opera di storici detti “sabaudisti”, fu spacciato per disegno patriottico unitarista italiano). I lombardi si resero conto dell’affare fatto, quando tutti i posti pubblici furono occupati da piemontesi, escludendo di fatto i padroni di casa, che si scoprirono più valorizzati dagli austriaci che dai Savoia. Basterebbe leggere le roventi polemiche giornalistiche del tempo. O quelle che riporta il piemontese Lorenzo Del Boca nei suoi libri.
Ma torniamo al dunque: quelli che il Cazzullo impermerabile alla verità, chiama “briganti”, si opponevano in armi a un esercito invasore che saccheggiava i beni, deportatava la popolazione, la incarcerava senza processo e condanna, distruggeva le fabbriche, rapinava l’oro delle banche, stuprava le donne e imponeva leggi e tasse a nome di un re che nessuno aveva invitato (a parte un centinaio di esuli al suo soldo e un luminoso manipolo di idealisti unitari che gridarono, poi, la loro feroce delusione). E moltissimi di quei “briganti” erano soldati allo sbando dell’esercito borbonico che continuavano a battersi da guerriglieri.
Non c’era nessun occupante straniero da cui essere liberati. E non c’erano “cinque giornate” di sollevazione popolare a cui appellarsi per il “fraterno aiuto” armato da farsi pagare lautamente (a Sud, “fatta l’Italia”, dopo tutto quello che gli avevano rubato e continuavano a rubargli, imposero pure una tassa di guerra, solo per i terroni, per farsi pagare le spese dell’invasione e dell’annessione. Non proprio qualcosa di corrispondente agli ideali unitari che circolavano nella ridottissima quota di italiani, 1-2 per cento, interessata allora alla cosa).
Quindi, il raffronto fra gl’insorti milanesi e i “briganti”, ha senso solo se si considera la ragione che accomuna la loro protesta: entrambi reagivano all’occupazione di un esercito straniero.
Almeno dopo un secolo e mezzo, queste cose dovrebbero essere di dominio pubblico (e su come e chi dovesse scrivere e, soprattutto, “riscrivere” la storia in funzione della dinastia sabauda, basterebbe leggere cosa riporta sugli “storici sabaudisti” il professor Umberto Levra, docente di Storia risorgimentale all’università di Torino, presidente del Comitato di Torino dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, presidente del Museo Nazionale del Risorgimento Italiano).
Una volta, sul Corriere della sera leggevi Pasolini; oggi vanno di moda i Cazzullo.