Ventitrè cavalli di razze e sesso differenti sono stati sottoposti a un test da un gruppo di studiosi norvegesi: per quindici giorni è stato insegnato loro ad associare a tre simboli una specifica situazione.
Al primo segno grafico corrispondeva “metto la coperta”, al secondo “tolgo la coperta”, al terzo “sto bene così”.
La lezione giornaliera durava quindici minuti e i cavalli prestavano la massima attenzione, osservando con le orecchie dritte.
Dopo due settimane tutti avevano imparato: non era nemmeno necessario che il conduttore li sollecitasse perché non appena lo vedevano andavano spontaneamente dai cartelli indicando con il muso la scelta, dimostrando la capacità di apprendere metodi di comunicazioni diversi e soprattutto la ragione alla base.
Infatti, quando gli animali chiedevano che la coperta venisse tolta, presentavano il manto sudato e quindi rivelavano di aver caldo.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Applied Animal Behaviour Science.
Troppo spesso, e troppo facilmente, quando l’uomo chiede all’animale e non viene compreso, lo etichetta come stupido. Questa ricerca dimostra invece come il cavallo sia in grado di utilizzare i simboli “umani” per dialogare con lui.
E’ importante ricordare che il cavallo è un erbivoro che, nel corso dell’evoluzione, ha imparato a difendersi dai predatori tramite la fuga: tutti i suoi organi di senso si sono sviluppati per recepire ogni minimo segnale di minaccia e avvertirlo del pericolo.
Questo lo ha reso un soggetto estremamente sensibile, capace di percepire ogni piccola sfumatura dei compagni che lo circondano, siano essi a quattro o due zampe: la velocità di reazione e comprensione significava vivere o morire.
Nel branco comunica soprattutto attraverso un linguaggio non verbale. Parla più con il corpo che con la voce: usa le orecchie, la testa, la coda, la mimica facciale, l’espressione degli occhi e i segnali posturali perché in natura non bisogna farsi sentire dai nemici in agguato.
Tutto ciò gli ha permesso di diventare molto percettivo e di avvertire ogni minimo cambiamento di chi gli sta vicino.
A fine Ottocento, in Germania, ci fu un cavallo che divenne famoso perché capace di leggere e fare di conto, battendo con lo zoccolo il numero di volte necessario per rispondere alle domande che gli ponevano.
Si pensava che il padrone lo avesse addestrato e gli inviasse segnali nascosti.
In realtà il proprietario era in buona fede perché il cavallo traduceva a sua insaputa la mimica facciale, cogliendo anche le lievi modifiche del respiro o della postura quando il numero giusto veniva raggiunto.
L’umano influenzava senza rendersene conto e il cavallo era abilissimo a leggere non numeri e parole ma le espressioni umane, mostrandosi assai perspicace.
Il cavallo viene anche usato nell’ippoterapia per riabilitare chi ha problemi fisici ma anche per psicoterapia a terra: è un animale imponente ma generoso, che comprende le difficoltà del cavaliere e si comporta di conseguenza.
Ai giochi paraolimpici di Rio, da poco conclusi, si sono svolte gare di dressage in cui i disabili, grazie agli equini, dimostrano di essere atleti al pari degli altri e di dimenticare, in sella, malattie e problemi.
In un centro di riabilitazione equestre conobbi un destriero che non andava d’accordo con i bambini normodotati, che forse lo avevano tormentato in passato, e dovevano stargli alla larga.
Con quelli costretti su una sedia a rotelle stava però fermo e paziente, agevolandoli nella salita e dimostrandosi l’animale più affidabile della scuderia.
Animali decisamente più empatici di tanti guidatori che parcheggiano nei posti riservati ai disabili o davanti alle rampe di accesso alle barriere architettoniche.
Lo studio norvegese conferma la capacità cognitiva del cavallo, capace anche di attirare l’attenzione dell’uomo sui problemi che non riesce a risolvere, come un secchio di mangime o di acqua non raggiungibile, dimostrando abilità nel tradurre anche i simboli grafici.
L’uomo è capace di fare lo stesso con loro?
Il più delle volte il cavallo, come gli altri animali, comunica al bipede che non sempre sa interpretarlo e in quei casi l’uomo conclude, in maniera semplicistica, che la bestia “non capisce”…
Paola Iotti