Catherine Fletcher svela il volto più oscuro del Rinascimento

Catherine Fletcher

Appena pubblicato da Garzanti nella traduzione di Albertine Cerutti, Il libro nero del Rinascimento è per chi ama il fascino del perturbante. In questo volume, infatti, Catherine Fletcher smonta il mito del Rinascimento italiano come epoca di pura luce e cultura. Perché, se si guarda bene, tra le pieghe di questo periodo glorioso si nasconde un’oscurità impressionante.

Quello di Catherine Fletcher è un libro di quelli che per mole potrebbero scoraggiare: quasi cinquecento pagine di saggio storico. Eppure, basta scorrere l’indice per rendersi conto che sarebbe un errore lasciarsi intimorire. Il libro nero del Rinascimento, infatti, è di quei volumi che possono mettere d’accordo i cultori della Storia con i semplici appassionati. Il motivo è semplice: con una prosa fluente l’autrice espone una documentazione solidissima su un argomento complesso e maledettamente intrigante. Che si potrebbe sintetizzare con una domanda, che alle orecchie di noi Italiani suona particolarmente delicata e quasi sacrilega, un’offesa personale. Cioè: e se il Rinascimento italiano non fosse soltanto quel trionfo dell’ingegno umano che ci hanno sempre raccontato, ma un’epoca dall’anima nera?




Una premessa fondamentale: l’onestà intellettuale dello storico

Nello spiegare la struttura del libro, Catherine Fletcher mette subito le carte in tavola, chiarendo l’intento che anima il lavoro senza mezzi termini:

La storia popolare del Rinascimento […] tende a concentrarsi sul genio e sulla gloria a scapito delle atrocità. […] L’aspetto sanguinario del Rinascimento ha sempre contribuito al fascino di quell’epoca. Viene però spesso narrato alla maniera dei Borgia televisivi. Cioè come la violenza seducente ed eccitante dei ricchi e dei famosi che si uccidono l’un l’altro per il potere. Molto meno come violenza di guerra, di esilio, di colonizzazione, o come abuso domestico. […] Non ho niente da ridire sulla gente cui piace un sanguinoso racconto di vendetta. Io stessa ho narrato a gruppi di turisti la cruenta storia della strage alle nozze dei Baglioni a Perugia nel 1500. Eppure un eccesso di ciò cela le brutali realtà che stanno dietro le opere d’arte del Rinascimento.

Prendete la Gioconda: Lisa Gherardini, la donna dal misterioso sorriso, era la moglie di un mercante di schiavi. Un possibile modello della Venere di Urbino – Angela Zaffetta – subì uno stupro di gruppo. […] Esaminando come la gente di questo mondo considerava la propria condizione e la propria rivoluzione […] possiamo meglio comprendere anche il nostro mondo. E i modi in cui allora come adesso una brillante innovazione culturale possa stare al fianco di ogni sorta di atrocità. Anzi, spesso, esservi intrecciata.

Il ritratto di Catherine Fletcher delle donne nel Rinascimento

Il volume di Fletcher permette di approfondire il tema del Rinascimento sotto un’impressionante molteplicità di aspetti. Infatti, analizza non solo battaglie epocali (come quella di Lepanto) o inestinguibili rivalità dinastiche. Racconta l’impiego delle armi da fuoco, le nefandezze dell’Inquisizione e le loro ragioni, le ombre delle esplorazioni delle Americhe. Uno spunto particolarmente interessante, però, viene dall’analisi della condizione delle donne.

Citando l’umanista e cancelliere di Firenze Leonardo Bruni, Catherine Fletcher ricorda che in questo periodo storico

l’eccellenza della vita di una donna consiste in buona famiglia, bell’aspetto, modestia, fecondità, figli, ricchezze e soprattutto virtù e buon nome.

Le donne, insomma, dipendevano dagli uomini per la propria sicurezza e per le proprie condizioni, fossero i padri, i fratelli, i mariti o i figli. Eppure, le più nobili e colte tra esse seppero dare prova del valore del gentil sesso, difendendo gli interessi propri e della famiglia nelle difficoltà. Come Caterina Cibo, nipote dei papi Innocenzo VIII e Leone X, che andò in sposa al duca di Camerino. Caterina, quando come sua unica erede in vita rimase la figlia Giulia Varano, lottò ferocemente per tutelarne gli interssi finché fosse grande abbastanza per sposarsi. O come Isabella d’Este, che nel 1509 subentrò nel governare Mantova per undici mesi a Francesco Gonzaga, suo marito. Il coniuge, infatti, era stato catturato dai Veneziani e Isabella impegnò tutte le proprie risorse per fare pressioni a livello internazionale e ottenerne la liberazione. O come Caterina Riario Sforza, la “virago del Rinascimento” figlia illegittima di Galeazzo Maria Sforza. Andata in sposa a Girolamo Riario, signore di Imola e nipote di papa Sisto IV. Quando questo morì nel 1484, Caterina in avanzato stato di gravidanza guidò un piccolo esercito per occupare Castel Sant’Angelo e difendere le proprietà familiari dal conclave.

Il mestiere più antico del mondo nel Rinascimento

La narrazione del Rinascimento di Catherine Fletcher, tuttavia, non è esclusivamente a tinte fosche. Al contrario, racchiude chicche e curiosità inaspettate, come un capitolo sulla vita delle cortigiane e delle prostitute, nonché del loro status nell’immaginario dell’epoca. Utilizzando la propria bellezza e una dose non piccola di spregiudicatezza e di cultura, le donne nel Rinascimento potevano riuscire a farsi strada. A spiegare come è lo scrittore Pietro Aretino, che nel 1534 componeva un dialogo, Le sei giornate, in cui una cortigiana, Nanna, iniziava la figlia. In uno stile di antica tradizione (si ricordi il Decameron) non privo di accenni di satira anticlericale, Aretino faceva raccontare alla donna diversi episodi. Con astuzia non da poco, esercitando il mestiere Nanna aveva ottenuto quel che voleva e si preparava a istruire la figlia nel fare lo stesso.

Tuttavia, dietro la faceta (e convenzionalmente misogina) realtà raccontata da Aretino se ne nascondeva un’altra meno risibile. Essa si intravvede nelle parole di Veronica Franco, ricca cortigiana veneziana che, cercando di dissuadere una madre dal rendere cortigiana la propria figlia, la avvisava:

mangiar con l’altrui bocca, dormir con gli altrui occhi, muoversi secondo l’altrui desiderio, correndo in manifesto naufragio delle facoltà e della vita: qual maggiore miseria?

Certo, una cortigiana nel Rinascimento – ben più di una prostituta di condizione inferiore – poteva sembrare libera. Nonché disporre di determinati privilegi. Nondimeno, puntualizza Catherine Fletcher, si tratta delle invisibili maglie di una gabbia dorata. Cui soltanto ogni tanto, con tutta la propria sagacia e un pizzico di fortuna alcune donne riuscivano a sfuggire, almeno per un po’.

Valeria Meazza

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