La più grave catastrofe ambientale in Israele degli ultimi decenni. La definizione di quanto avvenuto sulle coste israeliane negli ultimi giorni ha messo d’accordo tutti: le autorità politiche, i media, gli studiosi e gli ambientalisti.
Un affiatamento che la dice lunga sulla gravità di quanto successo nelle acque del Mediterraneo.
A partire dai giorni dello scorso fine settimana, tonnellate di greggio si sono riversate in mare, in prossimità del litorale dello Stato di Israele, arrivando a diffondersi gradualmente lungo un totale di 170 km di costa estesa tra il confine con il Libano e quello con Gaza.
Rimane ancora ignota l’origine del liquido inquinante.
Le petroliere presenti a largo del paese erano molte. Per restringere la ricerca della nave responsabile il governo israeliano ha chiesto l’aiuto dell’Agenzia europea per la sicurezza marittima che ha identificato la presenza di una macchia sospetta in una zona precisa circa una settimana fa.
Le autorità stanno quindi controllando le imbarcazioni presenti in quella delimitata area di navigazione.
Nel frattempo il governo di Netanyahu ha emesso un divieto di balneazione, di sport e di campeggio lungo tutta la zona colpita.
La ministra dell’ambiente, Ghila Gamliel, in visita con il capo del governo sul luogo della catastrofe ambientale ha commentato l’accaduto dicendo che questo evento deve servire da “monito alla necessità di liberarsi dal giogo dei combustibili inquinanti e di completare la transizione verso le energie rinnovabili”.
La dichiarazione ha scatenato lo sdegno degli attivisti per l’ambiente che da tempo contestano le politiche energetiche dell’amministrazione Netanyahu.
Non molto tempo fa, infatti, il governo aveva installato una grande piattaforma per l’estrazione del gas proprio a pochi chilometri di distanza dalla costa mediterranea.
Ancora più recente poi, è la firma degli accordi tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti finalizzati a favorire il trasporto di petrolio attraverso una rotta che va da Eilat e il porto di Ashkelon. Gli esperti fanno notare che un disastro di portata significativamente minore rispetto a quello che si è verificato in questi giorni porterebbe alla compromissione della barriera corallina di Eilat.
I danni di questa catastrofe ambientale, intanto, sono ancora impossibili da quantificare.
Secondo il Professor Colin Price, capo del dipartimento di studi ambientali a Tel Aviv, c’è una grande probabilità che il greggio sia penetrato sotto gli scogli causando gravi danni al fondale marino e agli organismi che vi si trovano.
Gli effetti ambientali attualmente sotto gli occhi di tutti riguardano gli esseri viventi. Tra i luoghi colpiti c’è la riserva naturale di Gador dove sono stati ritrovati morti molti esemplari di tartarughe marine, rinvenute sulle spiagge ricoperte di liquido nero.
Anche i volontari che si erano adoperati per dare una prima ripulita alle spiagge hanno subito danni alla salute. Alcuni di loro sono stati ricoverati in ospedale a seguito di malori dovuti, probabilmente, all’aver inalato fumi tossici.
Tra le conseguenze della catastrofe ambientale per il popolo israeliano c’è anche quella delle ripercussioni che essa avrà sulla qualità dell’acqua: gli impianti di desalinizzazione in mare, infatti, coprono il 70% delle necessità del paese.
Nonostante il permanere di tutte queste incertezze, tutti concordano su un dato: ci vorranno anni a contrastare gli effetti derivanti dalla catastrofe di questi giorni.
Di fronte a quanto accaduto gli ambientalisti e gli studiosi chiedono ancora più urgentemente un cambio di passo nelle politiche del paese. Si vedrà se alle parole pronunciate dalla ministra Gamliel seguiranno azioni concrete.
Silvia Andreozzi