Catalogna: la democrazia sopra ogni identità.
Era il 2010 e la crisi economica aveva inglobato la Spagna. Il partito popolare aveva convinto la corte costituzionale ad annullare lo statuto autonomo catalano.
Questa sentenza, dopo la morte di Francisco Franco che aveva permesso di costituire un “nuovo” governo spagnolo, è apparsa alla Catalogna come un affronto al patto costituito tra governo centrale e quello catalano.
In questi sette anni è cresciuto uno spacco tra la Catalogna e Madrid, non alimentato da un’avversione dei catalani nei confronti degli spagnoli, bensì dalla sfiducia nello Stato.
Così nasce l’esigenza del referendum.
Non quindi un referendum basato sulla pulsione improvvisa e necessaria di identità, di scissione; di autonomia come gli esempi passati della Scozia o del Quèbec, o quello ancora più recente della Brexit; un referendum per riacquisire il legittimo diritto a decidere.
Un diritto dettato dal senso civico più che da quello etnico, sebbene la rottura col governo centrale alimenti in ogni caso un sentimento patriottistico, scaturito più dalla chiusura che dall’indipendenza.
La sfiducia in un governo centrale induce sempre una popolazione a pensare che da soli si fa meglio, ma all’atto pratico bisognerebbe tenere conto di così tanti fattori economici, politici e sociali che rendono l’indipendenza più un sogno da cronaca in prima pagina che un atto concreto di rivoluzione.
Il referendum è un’opportunità per costruire un dialogo tra indipendentisti e governo. Ma quest’ultimo, per permettere questo dialogo, dovrebbe innanzitutto riconoscere la Catalogna come stato indipendente e questo stonerebbe con lo strapotere centralista della Spagna.
Ad ogni modo, il referendum è stato sospeso dal Tribunale, ma oggi – data annunciata e prestabilita da mesi – i catalani sono andati alle urne.
Attualmente sono stati contati 40 feriti, tra i quali 38 contusi e 3 gravi; i militari hanno sparato pallottole di gomma sulla folla intenta protestare e numerosi blitz sono stati attuati nelle sedi elettorali per sequestrare le urne.
Il calcolo errato che Rajoy ha fatto è stata questa ottusa chiusura al dialogo e la risposta violenta e aggressiva contro la protesta; la repressione e la violenza dei militari contro i votanti ha solo legittimato, agli occhi di tutti, un referendum che di suo non lo era.
Una questione che va, inizialmente, al di là della sola opinione e che tocca le corde della legalità, ma che ritorna in discussione in un balzo a seguito dei sopprusi delle forze della polizia sopra ogni diritto umano di voto e di protesta.
Aspettiamo il responso domani. Carles Puigdemont aveva detto che a seguito del referendum sarebbero bastate 48 ore per annunciare l’indipendenza, ma dopo questi violenti risultati come si evolverà la situazione?
Gea Di Bella