Castillo condannato a 18 mesi: proteste e dubbi dividono il Perù

crisi in Perù

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L’ex presidente peruviano Pedro Castillo condannato a 18 mesi. Il Perù è in stato di emergenza per le proteste e gli scontri.

Pedro Castillo condannato a 18 mesi di reclusione. Questa la decisione del Tribunale per le indagini preliminari. L’accusa è di tentato colpo di stato, ribellione e cospirazione. Nel frattempo la neoeletta alla presidenza del Perù, Dina Boluarte, ha dovuto proclamare lo stato d’emergenza per gli scontri e le proteste che hanno investito quasi l’intero Paese dopo l’arresto di Castillo. Attualmente il bilancio degli scontri è di 22 morti, tra cui minorenni e altri giovanissimi.

Pedro Castillo condannato a 18 mesi: il tentativo di auto-golpe dell’ex presidente

Il 7 dicembre scorso, Pedro Castillo con un discorso alla nazione ha tentato di sciogliere il Congresso, ovvero il Parlamento unicamerale peruviano, annunciando lo stato di emergenza nazionale. L’ex presidente ha azzardato un gesto disperato proprio alla vigilia del voto parlamentare per la sua destituzione “per incapacità morale”, poi approvata con 101 voti a favore. Castillo era scappato nel frattempo dalla porta posteriore del palazzo del governo per dirigersi con la famiglia in Messico, salvo poi essere tratto in arresto.

La presidenza di Castillo e le riforme che intendeva attuare

Pedro Castillo prima di diventare presidente è stato maestro, cuoco della mensa e bidello della scuola del suo paese natale, situato in un villaggio della Cajamarca, regione ricca di miniere d’oro, ma tra le più povere del Perù. Di umili origini, si candidò alla presidenza con il partito “Perù libero”, vincendo le elezioni del 2021 al secondo turno con il 50.13 % dei voti, soltanto 45 mila in più della sua diretta avversaria Keiko Fujimori, figlia del dittatore Alberto Fujimori, attualmente anche lui in carcere per corruzione.  L’inaspettata vittoria di Castillo venne da subito contestata dalla contendente, la quale richiese l’annullamento delle elezioni per presunti brogli, per essere poi smentita persino dall’Organizzazione degli Stati Americani.

Iniziava così la travagliata presidenza di Castillo: una prima accusa di brogli che già presagiva il destino del suo governo. L’ex maestro diede avvio ad una riforma agraria, prevedendo un piano per industrializzare l’agricoltura, nel tentativo di aiutare i contadini più poveri. Successivamente provvide ad un aumento del salario minimo e a vendere l’aereo presidenziale. Inoltre, annunciò la rinuncia allo stipendio di presidente e di continuare a percepire soltanto quello di maestro, in conformità con la promessa che aveva fatto in campagna elettorale dove aveva dichiarato che avrebbe  “guidato i destini del Paese con lo stipendio da maestro”. Il suo programma prevedeva anche la riduzione degli “stipendi dorati” dell’amministrazione pubblica. Le azioni e le promesse di Pedro Castillo avevano una forte impronta delle sue idee socialiste, ma non progressiste. Infatti, si definiva marxista e conservatore sociale, essendo contrario all’aborto, al matrimonio omosessuale e all’eutanasia.

Il suo piano di riforme era attento alle istanze della popolazione più povera, almeno nelle intenzioni e nelle promesse, colpendo invece i privilegi dell’oligarchia radicata nel Congresso peruviano. Secondo alcuni infatti sarebbe proprio questa ad aver voluto la sua caduta.



Gli scandali e le controversie

In un solo anno di presidenza, Castillo è stato sommerso da critiche, scandali e accuse. La prima critica che lo ha riguardato concerneva l’instabilità politica da questi causata, mutando il Consiglio dei ministri per 4 volte nell’arco di 12 mesi. Il fattore principale che ha influito su queste incertezze è stato sicuramente l’inesperienza. A questa si aggiungono vari scandali e accuse che hanno colpito suoi ministri, inducendolo alla loro sostituzione. Tutto l’anno di presidenza è stato un susseguirsi di clamori di ogni tipo: dall’accusa di traffico di influenze, passando per presunti reati contro la pubblica amministrazione, collusione contro lo Stato, l’ipotizzata presenza di un “Gabinetto Ombra”, la supposta esistenza di un’organizzazione criminale che coinvolgeva la famiglia di Castillo, fino ad arrivare al sospetto plagio della tesi di laurea. Quest’ultima accusa è molto ricercata e scava nel passato dell’ex presidente, suscitando qualche perplessità sulla credibilità delle altre.

Scontri e proteste infuriano: cosa chiedono i manifestanti

In questo momento in 13 su 24 regioni peruviane imperversano scontri tra manifestanti e polizia. Il bilancio è di 22 morti, tra cui minorenni e altri giovanissimi.

I dimostranti ritengono che Pedro Castillo sia un “prigioniero politico“, in quanto unico presidente legittimamente eletto, vittima di un “colpo di stato istituzionale” manovrato dalla destra e dall’oligarchia del Congresso. Infatti il Parlamento  è considerato dai manifestanti come il principale autore dei conflitti politici degli ultimi anni in Perù. Le richieste dei dimostranti, che minacciano scioperi in tutto il paese, comprendono la liberazione di Castillo e le dimissioni della “traditrice” di Boluarte, la quale sarebbe, a detta loro, una marionetta nelle mani della destra.

La resistenza dell’America Latina

L’ America latina è un territorio instabile, vessato da decenni di golpe e ingerenze esterne. Da sempre dimenticato, ma ancor di più ai giorni nostri. Questi Paesi hanno subito secoli di travagli, tra colpi di stato, povertà e conflitti interni, spesso nel silenzio complice dell’Occidente. Nonostante questo, la maggior parte delle popolazioni dei vari stati dell’America latina è rimasta inviolata. I peruviani che abitano le vette più alte delle Ande hanno conservato le antiche lingue delle popolazioni locali, così come le tradizioni, scacciando sia i conquistadores antichi che quelli moderni.

In situazioni come quella peruviana, è necessario farsi più di una domanda sia davanti alla bassa risonanza di eventi simili nel mondo occidentale, sia dinanzi alla presenza di linee di giudizio “unidirezionali” riguardo agli stessi. Le rivolte in Perù portano il Paese ad un punto di rottura, ma dimostrano come l’America Latina sia l’ultimo baluardo di resistenza alle logiche neoliberiste. La perenne instabilità in cui vivono non distoglie i popoli di quelle nazioni del Sud da consapevolezze ben radicate, che permettono loro di lottare ancora per i propri interessi, combattendo un nemico sempre alla porta, restando fedeli alla loro autenticità, vero segreto della resistenza.

Raffaele Maria De Bellis

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