Oltre che una promessa, quel “sarà guerra”, pronunciato dagli operai Whirlpool di Napoli all’indomani della notifica della chiusura della fabbrica nel 2019, appare oggi come un presagio. Dopo quattro anni e mezzo di indomita battaglia, infatti, i 312 operai licenziati verranno riassunti dalla TeaTek con le medesime condizioni contrattuali ed economiche maturate con la ex Whirlpool
Quando il 31 maggio 2019 Whirlpool annunciò a sorpresa di voler “cedere a terzi” lo stabilimento di Napoli, il rischio concreto era quello di lasciare a casa più di 400 operai, determinando di fatto una grave crisi economica e sociale in tutto il territorio circostante.
In un comunicato l’azienda spiegò che la strategia era volta alla “riconversione del sito attraverso la cessione del ramo d’azienda a una società terza in grado di garantire la continuità industriale allo stabilimento e massimi livelli occupazionali”. Il progetto, si leggeva dal comunicato, avrebbe permesso all’azienda di “beneficiare di un incremento dei volumi di produzione per un ammontare di oltre 800 mila unità”, e avrebbe consentito una prospettiva lavorativa solamente agli operai intenzionati ad un’eventuale trasferimento presso i siti di Cassinetta di Biandronno (Varese), Siena e Comunanza (Ascoli Piceno).
Nonostante l’imprevedibilità della scelta dell’azienda rispetto a quanto previsto nel piano 2019-2021 firmato il 25 ottobre 2018 al Mise (oggi Mimit, Ministero delle Imprese e del Made in Italy), la reazione dei sindacati dei lavoratori fu immediata.
In particolare, Fiom indisse un urgente sciopero per convincere la multinazionale a rispettare il piano industriale: “Noi non ci stiamo ai licenziamenti per delocalizzazione, dal momento che, tra l’altro, l’azienda usufruisce di tutto il sostegno possibile attraverso gli ammortizzatori sociali per la riorganizzazione dopo l’acquisizione di Indesit” dichiarò in quell’occasione la già segretaria generale di Fiom-Cgil Francesca Re David.
Sulla stessa lunghezza d’onda anche Uilm, che, attraverso le parole di Gianluca Ficco, segretario nazionale, richiese un incontro all’allora Ministro dello sviluppo economico Luigi Di Maio, per ottenere garanzie circa l’accordo del 25 ottobre: questo prevedeva nuove produzioni al fine di trasformare il sito di Napoli nello stabilimento di punta per le lavatrici di gamma.
Proprio la Uilm, inoltre, sostenne l’appello di De Magistris circa l’intervento del Mise: l’ex sindaco di Napoli, infatti, si diceva preoccupato della “perdita di 430 posti di lavoro”, soprattutto dopo che l’azienda Whirlpool sottoscrisse, solo sei mesi prima, “un piano industriale che prevedeva investimenti fino al 2021 e l’aumento di ore di lavoro nello stabilimento napoletano” .
“È urgente e necessario -scrisse De Magistris in una nota- che il Mise apra le porte a questa dolorosa vertenza e che riconosca la necessità del lavoro come una priorità del Mezzogiorno”.
La nota del Mise non si fece attendere, e confermò le complessa situazione. In essa si leggeva: “È stato stralciato l’accordo che la stessa multinazionale aveva firmato lo scorso 25 ottobre. E’un atteggiamento non tollerabile”.
Inoltre, continuava la nota, “viene deliberatamente stralciato, sempre in via unilaterale, l’importante accordo firmato lo scorso 25 ottobre al Ministero dello Sviluppo economico (oggi inglobato nel Mimit)”, che prevedeva l’impegno dell’azienda nel nostro Paese con un piano industriale triennale da 250 milioni di euro.
“Quello che si prefigura -conclude la nota- è dunque una deliberata violazione di quanto firmato dalle parti, firma a cui è seguita la concessione degli ammortizzatori sociali che avevano lo scopo di supportare il piano industriale”.
Il 4 giugno successivo fu aperto un tavolo al Ministero dello Sviluppo economico guidato da Di Maio circa la grave crisi interna dell’azienda americana, durante il quale la Whirlpool fu accusata di aver percepito milioni di euro di fondi pubblici. Di Maio, inoltre, minacciò che “in assenza di una soluzione questi sarebbero potuti velocemente tornare al mittente”, e concluse: “Non si prende per il culo lo Stato italiano. Non con me, non con questo governo”.
Nonostante l’impegno del Mise, l’azienda non mosse alcun passo in avanti verso il comunque insperato rispetto del piano industriale, anzi, usufruì dell’ emergenza coronavirus per preservare il proprio bilancio.
Il 14 luglio 2021, infatti, approfittando della fine del blocco dei licenziamenti introdotto dal governo, Whirlpool annunciò l’avvio della procedura di licenziamento collettivo per i lavoratori dello stabilimento di via Argine a Napoli.
Per ovviare alla crisi economico-sociale creata dall’azienda, la viceministra Alessandra Todde propose di prolungare la cassa integrazione di 13 settimane, denunciando: “In questi mesi sono stati messi a disposizione dell’azienda decine di milioni di euro di supporto da parte del governo, che rinnova l’impegno a lavorare lealmente, con la cassa integrazione gratuita fino ad ottobre e un piano di reindustrializzazione, su cui stiamo già lavorando”.
Whirlpool negò il proprio assenso anche a quest’ennesima proposta, scatenando le furie del ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, che apostrofò la scelta strategica del colosso americano come “irragionevole”.
Oltre alle invadenti figure del colosso americano e dello Stato italiano, non sono mai mancate la tenacia e l’unione della classe operaia partenopea. In fin dei conti se la situazione di stallo creata dalla strategia attendista di Whirlpool ha trovato uno sbocco positivo, è proprio grazie ai quattro anni di battaglie da essa protratti.
Quattro anni in cui i lavoratori hanno rifiutato i compromessi al ribasso, inclusa un’improponibile proposta di liquidazione da 85mila euro lordi ciascuno e la possibilità di essere assunti a Varese, per ribadire il loro diritto di continuare a lavorare nella propria città.
Le forme adottate sono state anche radicali: proteste, picchetti, manifestazioni, occupazione della fabbrica, blocchi stradali e cortei non autorizzati in autostrada. Nel luglio 2021, ad esempio, quando la multinazionale americana annunciò il licenziamento collettivo dei lavoratori in cassa integrazione, un centinaio dei lavoratori del sito di via Argine manifestarono al Molo Beverello di Napoli esponendo striscioni e bloccando le operazioni di imbarco per le isole.
Proteste veementi, dunque, che sono proseguite, senza soluzione di continuità, per i due anni successivi, fino al raggiungimento del tanto agognato obiettivo.
Negli ultimi giorni tutti e 312 gli operai sono stati assunti nella nuova fabbrica che sorgerà al posto della Whirlpool: si chiamerà TeaTek e produrrà elementi per i pannelli solari.
L’acquisto dello stabilimento da parte di TeaTek risale allo scorso 26 aprile; fin da subito la società si è impegnata ad assumere i 312 dipendenti con le medesime condizioni contrattuali ed economiche che avevano maturato con la ex Whirlpool.
Il progetto, presentato a luglio, prevede l’abbattimento e la ricostruzione dello stabilimento, previsti nel giro di 24 mesi, con l’obiettivo di renderlo una “fabbrica sostenibile 5.0”, ha dichiarato la Uilm.
A settembre, a varcare i cancelli di via Argine è stato lo stesso ministro del Mimit Adolfo Urso, che ha parlato dello stabilimento come di un «modello di sviluppo per il Mezzogiorno».
Il sito, si legge da una nota dell’azienda, tornerà ufficialmente operativo nel 2025. Gli operai affronteranno un “percorso di formazione per essere preparati a svolgere le nuove mansioni e verranno progressivamente assorbiti nelle linee di produzione della TeaTek”.