Il Caso Vannini continua a infervorare l’opinione pubblica: derubricato il reato da omicidio volontario a colposo.
La Corte d’Assise di Roma si è pronunciata nella giornata di oggi sul caso Vannini. Solo 5 anni di carcere per la mano che ha tolto la vita a Marco Vannini, il ventenne di Cerveteri raggiunto da un colpo di pistola il 17 maggio 2015. Le circostanze che hanno portato alla morte del giovane, mentre si trovava a Ladispoli a casa della fidanzata, non sono mai state chiarite.
Oggi è stata ribaltata la sentenza in primo grado, che aveva visto il militare di carriera Antonio Ciontoli condannato a 14 anni di carcere. Viene invece confermata la sentenza per gli altri membri della famiglia, la moglie Maria Pezzillo e i figli Federico e Martina, al tempo dei fatti fidanzata di Marco. Sono stati tutti e tre condannati a tre anni di reclusione, con l’accusa di omicidio colposo. Per Viola Giorgini, fidanzata di Federico anche lei presente la notte dell’omicidio, è stata confermata l’assoluzione.
Le reazioni
Una sentenza che ha scosso la rabbia dei famigliari di Marco, che dal 2015 lottano affinché il giovane possa avere giustizia. Marina Conte, madre di Marco, ha reagito alla lettura del dispositivo gridando contro i giudici. I parenti del ragazzo, prima di essere allontanati dall’aula, hanno protestato al grido di “Vergogna, non c’è Stato per Marco”. Fuori dal Tribunale le telecamere hanno raggiunto Marina che, ancora sconvolta per una sentenza che la lascia incredula e sconfitta, ha urlato ai microfoni:
Mi hanno ucciso un figlio che aveva solo vent’anni, lo hanno lasciato agonizzante. Marco poteva salvarsi. Io mi vergogno di essere una cittadina italiana.
La donna, già privata di suo figlio, si sente abbandonata dalla legge e dallo Stato. Dello stesso parere anche Alessio Pascussi, sindaco di Cerveteri, la città natale di Marco. L’uomo in una nota si scaglia contro lo Stato italiano e afferma con durezza che ormai la giustizia è morta e che le Istituzioni hanno perso di credibilità. Continua il Primo cittadino:
Da sindaco, mi sento di dire che oggi provo un senso di vergogna ad indossare la fascia tricolore e rappresentare così uno Stato che non tutela i suoi cittadini e che lascia impuniti gli assassini. Metterò le bandiere della nostra città a lutto, invito i sindaci di tutta Italia a fare altrettanto. In rispetto di Marco Vannini e dei tanti che, come lui, hanno perso la vita senza che lo Stato italiano riconoscesse loro giustizia.
Non si arrende l’avvocato Gnazi, legale della famiglia Vannini, che dopo aver citato un verso di De Gregori “Cercavi giustizia, ma trovasti la legge”, afferma che prende atto con sconcerto della decisione dei giudici. Ma non intende fermarsi qui:
Leggeremo le motivazioni e chiederemo a Procuratore Generale di proporre ricorso per Cassazione
Il caso
La sera del 18 maggio 2015 Marco Vannini viene raggiunto da un colpo di pistola nell’abitazione della fidanzata, Martina Ciontoli. Il ragazzo di Cerveteri è morto dopo quattro ore di agonia. Quella notte, dall’abitazione della famiglia Ciontoli, per ben due volte è stato chiamato il centralino del 118, tuttavia non è stata fatta menzione della ferita da arma da fuoco. “Si è ferito con un pettine” è quanto viene riferito da Antonio Ciontoli all’operatore del 118. Al loro arrivo i ragazzi della Croce Rossa hanno trovano una situazione ben diversa, per la quale non erano preparati: un ragazzo di appena vent’anni in agonia. La corsa in ospedale e poi il trasferimento al Gemelli di Roma, per il ragazzo è ormai tropp o tardi. Nel frattempo la famiglia Ciontoli ha avvertito anche i famigliari di Marco, dicendo loro che il figlio è caduto dalle scale.
In casa Ciontoli sono presenti sei persone la notte dell’omicidio: oltre a Marco, Antonio Ciontoli e sua moglie Maria, i figli Martina e Federico e la fidanzata di quest’ultimo, Viola Giorgini. Tutti e cinque raccontano che si è trattato di uno scherzo finito male. Antonio voleva solo mostrare la pistola a Marco, non si era reso conto che la sua Berretta calibro 9 aveva un colpo in canna. Sui fatti di quella notte non è mai stato possibile fare luce, l’omertà della famiglia Ciontoli ha intralciato la strada agli inquirenti, che hanno potuto ricostruire solo in parte i fatti del 18 maggio.
Emanuela Ceccarelli