Caso Saviano: quando la politica usa ogni mezzo a disposizione

Roberto Saviano

Ieri, 15 novembre 2022, si è consumata la prima udienza del processo che vede Roberto Saviano querelato per diffamazione da Giorgia Meloni e Matteo Salvini.

L’imputazione

Il fatto imputabile allo scrittore di Gomorra risale al 3 dicembre 2020, quando Saviano fu ospite alla trasmissione “Piazza pulita”, condotta da Corrado Formigli. Conduttore e intervistato aprirono uno spazio di riflessione sulla vicenda del piccolo Youssef. Meno di un mese prima, l’11 novembre 2020, una nave di “Open Arms” trasse in salvo alcuni migranti in viaggio dalla Libia su un gommone. Tra le vittime di quel viaggio vi fu, appunto, Youssef, 6 mesi, che morì tra le braccia della madre.

Saviano nel suo discorso mise al centro la necessità di salvare vite a prescindere dalle leggi vigenti e dall’applicazione di queste a livello nazionale.

Si rivolse poi direttamente a Meloni e Salvini. Il secondo aveva da poco presentato la sfiducia al governo di cui faceva parte, portando alla formazione del “Conte II”. La prima era invece all’opposizione, contestando l’operato del governo – anche rispetto alla gestione della pandemia Covid-19.

Saviano definì quindi i due leader con queste parole:

“Viene solo da dire ‘bastardi’, come avete potuto? A Meloni, a Salvini, ‘bastardi’. Come è stato possibile, tutto questo dolore, descriverlo così? Era legittimo avere un’opinione politica diversa dall’accoglienza, ma non sull’emergenza, non su chi in mezzo al mare, non su chi sta salvando persone”

L’ennesima querela di quello che è ormai il “caso Saviano”

La reazione dei leader dei partiti di destra non si fece quindi attendere e insieme querelarono Saviano per diffamazione (anche se Salvini si è aggiunto in un secondo momento). Secondo l’articolo 595 del Codice Penale è infatti possibile citare a giudizio chiunque «offende l’altrui reputazione», con aggravanti nel momento in cui questo avvenga contro un “Corpo politico, amministrativo o giudiziario […]». La pena si costituisce di una multa dai 2000 ai 6000, dato che “l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato” (art. 342 del Codice Penale). Insieme alla multa, Saviano rischia la reclusione per un massimo di 3 anni.

Si potrebbe cinicamente dire, come fa d’altronde lo scrittore stesso, che il rischio legale in cui incorre passa in secondo piano. Si ricordi infatti, che Saviano vive sotto scorta dal 13 ottobre 2006 per le minacce subite in seguito alla pubblicazione di Gomorra.

L’elemento che rende questo caso eccentrico non è la notorietà dei suoi protagonisti, né il tema in oggetto (il soccorrimento di migranti). La questione problematica è come hanno agito i querelanti a fronte dei nuovi ruoli che ricoprono.

Il passo indietro (mancato) di Meloni e Salvini

Ciò che lascia perplessi in questo caso non è tanto la reazione immediata dei due esponenti di destra, che prontamente impugnano il diritto di querela. È legittimo che chiunque, esponente politico o meno, agisca per vie legali a fronte di un’offesa. Sono giuste anche le dovute aggravanti quando questo avviene a mezzo stampa o in un discorso pubblico.

È però prassi che il querelante, nel momento in cui assume una posizione politica – e quindi di potere – rilevante, ritiri la denuncia. Questo non per un miracoloso annullamento dell’offesa, ma perché i mezzi e l’influenza che il querelante può esercitare sono palesemente e ingiustamente sbilanciati dalla sua parte. Ed è proprio questo il caso.

Nel momento in cui si viene eletti Presidente del Consiglio dei Ministri, in genere si lasciano decadere le denunce – almeno quelle contro privati cittadini. Emblematica in questo senso, la querelle D’Alema-Forattini, che si risolse con il ritiro della querela del primo, al tempo, appunto, Presidente del Consiglio.

Meloni e Salvini, invece, non danno peso alla loro nuova funzione, proseguendo – per il momento – con il processo a Saviano.

La prima, in seguito alla prima udienza (durata una manciata di minuti), insieme ai suoi legali ha accennato alla possibilità di ritirare la denuncia. Il secondo si è invece costituito parte civile. Questo significa che Salvini, considerandosi una vittima delle parole di Saviano, vuole da questo processo anche un risarcimento dei danni (morali e materiali). Ciò avverrebbe nel momento in cui lo scrittore venisse riconosciuto penalmente colpevole.

Salvini che sarà, inoltre, protagonista il prossimo anno di un processo sempre contro Saviano per una dichiarazione in seguito ad un comizio in campagna elettorale. In breve, lo scrittore definì il politico “ministro della malavita”, dopo che al suo comizio a Rosarno (Calabria), erano presenti in prima fila esponenti delle famiglie Pesce e Bellocco, storicamente affiliate all’organizzazione mafiosa della ‘Ndrangheta. (Un approfondimento della faida Saviano-Salvini è disponibile qui)

È problematico condannare uno scrittore?

La pessima figura fatta dalla Presidente del Consiglio e dal suo vice rimane, dato che, nonostante le dichiarazioni post-udienza, mantengono le proprie posizioni.

La situazione si complica nel momento in cui, chiamata sul banco degli imputati, vi è una persona che delle parole – spesso scomode – e dell’analisi critica, ha fatto la sua professione. Probabilmente la denuncia verrà ritirata prima del 12 dicembre, data scelta per l’aggiornamento dell’udienza. Ma anche se questo pronostico si avverasse, questa rimarrebbe una traccia indelebile del modus operandi di alcuni esponenti di questo governo.

Quanto pesa una singola parola a fronte di un discorso che vuole denunciare certamente Meloni e Salvini, ma forse, prima di tutto, un insieme di valori che esclude la pietà umana? Non è forse eccessivo l’accanimento verso qualcuno che ha manifestato un’opinione di fronte a fatti incontrovertibili?

Come questo sia un precedente pericoloso per la libertà d’espressione è posizione esplicitamente espressa scrittrici e scrittori solidali a Saviano. Ieri mattina infatti, ad accompagnarlo in aula sono stati, tra gli altri, la scrittrice Michela Murgia e il direttore de “La Stampa” Massimo Giannini.  Una vicinanza fisica che prende posizione contro un attacco che (forse) vuole distogliere l’attenzione dal vero problema: la gestione dei migranti. Voci solidali che arrivano anche dal fronte internazionale: il gruppo PEN International ha infatti redatto una lettera aperta a Meloni invitandola al ritiro della querela.

Perché tolto il termine incriminante, l’azione disumana resta.

Alice Migliavacca

 

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