Caso Regeni, il processo può iniziare senza la notifica agli imputati

Caso Regeni Giulio 23

Caso Regeni: la Corte Costituzionale ha sentenziato che il processo ai quattro agenti egiziani imputati potrà essere avviato nonostante essi si siano resi irrintracciabili. La decisione della Corte rappresenta un punto importante in questo complesso percorso di ricerca di giustizia: da oltre 13 mesi infatti l’ostruzionismo dell’Egitto impediva che le persone indagate potessero essere giudicate, poiché era impossibile per la giustizia italiana stabilire che i quattro imputati fossero a conoscenza del processo.

Un ostacolo giuridico, alimentato da azioni e resistenze politiche, fino a questo momento aveva impedito che la giustizia facesse il proprio corso nei confronti del caso Regeni, cominciato oltre sette anni fa: secondo la Corte d’Assise di Roma e la Corte di Cassazione, l’impossibilità di notificare agli imputati, poiché latitanti, lo svolgersi stesso del processo fino a questo momento era un ostacolo all’iter processuale.

Mercoledì 27 settembre, al contrario, la Corte Costituzionale ha annunciato, tramite una nota, che il processo ai quattro agenti dei servizi segreti egiziani accusati di aver sequestrato, torturato e ucciso Giulio Regeni potrà effettivamente cominciare senza che la notifica dell’atto processuale agli imputati sia confermata. Questa decisione, che non deve certo stimolare facili entusiasmi, rappresenta un innegabile passo in avanti nel lungo processo di ricerca di verità e giustizia sulla vicenda.

Il caso Regeni

Giulio Regeni era un giovane dottorando italiano di 28 anni che lavorava per l’università di Cambridge. In Egitto nel 2016 si occupava di studiare le unioni sindacali e i diritti dei lavoratori sul campo, prima che una notte fosse sequestrato, torturato e ucciso. Scomparso ufficialmente la sera del 25 gennaio 2016, quando doveva incontrarsi con alcuni amici nel centro città, fu ritrovato senza vita una settimana dopo in un fossato poco fuori città, vicino all’autostrada Cairo – Alessandria. Sul suo corpo erano presenti diverse ferite che dimostravano come il giovane fosse stato sottoposto a torture di ogni tipo: tagli, mutilazioni, bruciature, percosse.




Inizialmente, le autorità egiziane tentarono di oscurare la verità riguardo quanto accaduto a Regeni: prima si parlò di un incidente stradale, poi di un omicidio all’interno di una presunta relazione, infine di un assassinio compiuto da criminali comuni. Ci fu anche un finto ritrovamento di effetti personali in una borsa spacciata per proprietà di Giulio. Con il tempo le responsabilità istituzionali dell’Egitto sono diventate più chiare, ma l’impossibilità di accertare che i quattro indagati – il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamel e Usham Helmi, il maggiore Magdi Sharif – avessero ricevuto la notifica dell’atto processuale aveva impedito fino ad ora alle autorità giudiziarie italiane di procedere con l’accertamento delle responsabilità. I reati che saranno contestati ai quattro, nel processo che inizierà a gennaio, sono sequestro di persona pluriaggravato, concorso in lesioni personali gravissime e omicidio (il reato di tortura, introdotto nell’ordinamento italiano nel 2017, dopo la morte di Regeni, non sarà oggetto di imputazione).

Caso Regeni
L’appello di Amnesty International per Giulio Regeni.

Banco di prova per il governo

Il 10 gennaio prossimo il processo riprenderà ufficialmente: Giorgia Meloni e il governo, dunque, sono immediatamente chiamati ad assumere una linea di pensiero e di azione nei confronti dell’intera vicenda,  fino a pochi giorni fa rimasta in “stagnazione” per motivi giuridici. Se la presidente Meloni deciderà di costituirsi parte civile al processo – così come avevano fatto l’ex presidente del Consiglio Mario Draghi e l’allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio Roberto Garofoli, presentandosi a Roma a ottobre 2021 – la stretta collaborazione con il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi subirà necessariamente un danno, dal momento che una presa di posizione netta sarà vista come una critica ai suoi metodi di governo. In caso di astensione delle autorità politiche dalle attività processuali, invece, la questione Regeni diventerà un motivo di scontro politico (nonché etico) importante e – giustamente – ingombrante.

Nel frattempo, mercoledì 11 ottobre Giorgia Meloni e Antonio Tajani, ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, saranno a Giza per un incontro culturale al cospetto delle Grandi Piramidi: le attenzioni, dopo gli eventi di questi giorni, saranno tutte sul loro atteggiamento nei confronti di el-Sisi e delle autorità egiziane.

Luca Oggionni

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