Martedì sera, DiMartedì su La7 e bando a quelli che saranno gli approfondimenti della serata, la curiosità è quella di sentire non solo le domande di Floris a Di Battista sui temi più disparati, ma in particolare quelli riguardanti il caso Raggi.
Chi è Virginia Raggi?
Primo sindaco donna eletto nella capitale, la 37enne Virginia Raggi da quel 19 giugno, si ritrova ormai al centro di un ciclone mediatico e giudiziario.
È da quel momento che le frasi ridondanti sentite in giro sono state “L’amministrazione della capitale è complessa”, “Abbiamo bisogno di tempo”. E tuttavia qual è il valore della necessità di tempo quando le turbolenze sono legate a una falla dietro l’altra realizzate da quando si è entrati a far parte del sistema?
Virginia Raggi viene scelta quale candidata del Movimento 5 Stelle lo scorso 23 febbraio. Votazione online, al solito, e ben 1.724 attivisti iscritti al partito la incoronano candidata.
Già consigliera comunale e militante del Movimento di punta nella capitale, Virginia mostra il profilo della candidata perfetta: ben voluta, istruzione valida, un’esperienza maturata nell’amministrazione precedente legata al sociale, in particolare temi come l’ambiente e la scuola.
E tuttavia le perplessità legate alla sindaca, prim’ancora della sua elezione, vi sono e non solo tra le opposizioni: coglie alla sprovvista quella degli stessi iscritti al partito, ma in particolare di Roberta Lombardi.
La compagna di partito era la seconda opzione, esclusa, alla corsa per l’amministrazione della capitale, ma quella che poteva inizialmente apparire come una battaglia tra primedonne, porta alla conclusione che i sospetti mai celati, anzi, sempre rivelati della deputata Lombardi, si sono dimostrate reali.
Un’autonomia che avrebbe scombussolato il partito a livello nazionale, diceva Roberta Lombardi, che da Don Chiosciotte s’è trasformata in oracolo delle verità inascoltate.
Primo colpo, caso Marra. L’arresto del braccio destro vedeva, tra i retroscena, una querela presentata dalla deputata contrapposta alla Raggi a fine novembre, dopo un’inchiesta condotta da L’Espresso. L’inizio di un dramma politico che conta poca lungimiranza e scelte sfacciate.
Tuttavia il Movimento, su tutti i suoi piani alti, continua a difendere la neo sindaca. Serve tempo, amministrare Roma è più complesso dell’amministrazione del Paese.
Nient’altro che la verità
Esiste questo sistema, tipicamente anglosassone, che porta il nome di fact – checking: un termine che attinge alla verifica dei fatti tipica del giornalismo investigativo, ma, a richiamare una parola di cui il Movimento si è fatto profeta, potremmo tradurre come il fulcro generatore dell’onestà nel discorso politico.
Ne abbiamo visto il funzionamento durante il primo confronto presidenziale Clinton – Trump: allora la vittima fu il neo presidente americano, che a una dichiarazione vide, istantaneamente, la verifica e smentita in diretta da parte del giornalista addetto.
Il valore del fact – checking consiste nella rivelazione dei mali passi. È sostanzialmente il vero misuratore della verità. Uno strumento che supera l’efficienza della comunicazione politica a botte di “la verità nient’altro che la verità”.
L’intervista ad Alessandro Di Battista rispetto al caso Raggi vede un Floris stuzzicante. Cosa vi è di diverso rispetto agli altri casi di indagine?
“Raggi ha ammesso l’errore di essersi fidata della persona sbagliata, ma per quanto riguarda la nomina di Renato Marra non si tratta di denaro pubblico, o di scelte che inficiano un diritto dei cittadini. Si tratterebbe di firme sbagliate, di una nomina sbagliata la quale è stata immediatamente revocata”.
“Al Comune di Roma un dirigente su quattro è indagato. È molto complicato, chiediamo tempo. Raggi ha sbagliato a mettere una firma, si vedrà. Ma non sarà la prima volta che un amministratore Cinque Stelle commetterà un errore”.
Gli amministratori sbagliano, sì. La concezione per cui si assume che un politico possa avere un’astrazione semidivina che gli consente di non commettere errori, andrebbe abolita dall’immaginario comune. L’elezione non è un contratto di vendita, il do ut des prende la strada dell’attuabilità e dell’errore, che certo non può essere discostato dall’umanità della persona.
L’idea per cui, il beneficio dell’errore, possa essere consentito ad un unico partito ha tuttavia ben poco di democratico. Men che meno se si basa sull’idea per cui si possa considerare diverso perché si dichiara tale.
Ricorda tanto quella storia per cui al primo appuntamento, mentre il ragazzo sbobbina tutto quello che gli dà fastidio in una donna, o parte in rassegna con i difetti della fatidica ex, la ragazza, pur consapevole dei suoi difetti, ostenta con sicurezza un “io non sono tutte le donne, io sono diversa!”
Più in là verrà poi riciclato il fantomatico “diverso, ma con riserva”.
Mettere l’accento sulla propria onestà, poi, causa un effetto domino d’accuse gratuite nel momento in cui questa viene smentita, che hanno rilievo semplicemente perché su quell’aspetto si era voluto costruire il proprio manifesto politico.
Com’era? “Tutto quello che dirà potrà essere usato contro di lei”?
Detto ciò la presunzione d’innocenza è un diritto costituzionalmente garantito, il garantismo “a corrente alternata”, come lo ha definito Roberto Speranza, è quello che attualmente non va nel discorso politico.
In questi termini le parole di Adriano Meloni, assessore allo sviluppo economico, rese Procura rispetto al suggerimento di Raffaele Marra nella nomina del fratello Renato, che stringono il cerchio rispetto alle accuse di falso ideologico e abuso d’ufficio rivolte a Virginia Raggi, mettono a nudo la falsa testimonianza della sindaca all’Autorità anticorruzione del Comune.
Non firme sbagliate quindi: mente Virginia Raggi, mente Alessandro Di Battista. Puro e semplice fact – checking.
Sognare un mondo in cui la verità sostituisca la bugia è tanto nobile quanto illusorio. Ma in questa tortuosa strada verso la credibilità politica le strilla e i “fuck the system” delle volte andrebbero sostituite con un semplice bagno di umiltà. Foss’anche una questione di semplice dignità.
Ilaria Piromalli