“Per quanto si sia turbati, bisogna guardare al nucleo essenziale di verità, al modo di essere della nostra società, che preannuncia sopratutto una nuova persona più ricca di vita e più consapevole dei propri diritti. Governare significa fare tante singole cose importanti ed attese, ma nel profondo vuol dire promuovere una nuova condizione umana”.
Aldo Moro. Relazione al XII Congresso della Democrazia Cristiana. Roma, 9 giugno 1973
Il 9 Maggio 1978, Mario Moretti, capo dell’organizzazione armata nota come “BR” (Brigate rosse) giustizierà Aldo Moro, Presidente della Democrazia Cristiana, con un colpo di pistola, “eseguendo la sentenza”, così come scritto nell’ultimo comunicato delle BR. Quel colpo di pistola, eseguito con il silenziatore, lasciò nell’aria un boato talmente forte, da portare un intera nazione a dei cambiamenti che probabilmente, non sarebbero avvenuti.
Sono stati e sono destinati a restare, i 55 giorni più lunghi dell’intera storia italiana. Ancora oggi, a distanza di 38 anni, soltanto rievocare il “Caso Moro”, vuol dire prepararsi ad entrare in un tunnel di domande senza risposta.
La mattina del 16 Marzo 1978, giorno in cui il nuovo governo guidato da Giulio Andreotti stava per essere presentato in Parlamento per ottenere la fiducia, l’auto che trasportava Aldo Moro dalla sua abitazione, alla Camera dei Deputati, fu intercettata e bloccata in Via Mario Fani, da un nucleo armato delle Brigate Rosse.
In pochi secondi, sparando con armi automatiche, i brigatisti uccisero i due Carabinieri a bordo dell’auto di scorta e sequestrarono il Presidente della DC.
Le colpe attribuite ad Aldo Moro, furono, secondo i vertici delle BR, l’avvicinamento tra la DC e il PCI, la cui espressione, fu il governo Andreotti IV. Il rapimento non fu realizzato per colpire il regista di quella fase politica, ma lo scopo rientrava nel colpire la DC, cardine in Italia dello “Stato imperialista delle multinazionali”, mentre il PCI rappresentava non tanto il nemico da attaccare, quanto un concorrente da battere. Nell’ottica delle BR, infatti, la loro azione avrebbe interrotto “la lunga marcia comunista verso le istituzioni”, per affermare la prospettiva dello scontro rivoluzionario” e porre le basi del controllo BR della sinistra italiana, per una lotta contro il capitalismo.
Il mondo si fermò. Ascoltando i racconti di persone che allora erano presenti, tutte le storie combaceranno su un punto e tutti avranno quel ricordo di una Roma quasi deserta. I negozi chiusero le saracinesche e le persone si barricarono in casa, spaventate e ferite dall’accaduto. Rammentare un giorno nella storia, in cui si era vista Roma semi-deserta, per coloro che erano giovani allora, è come parlare dell’assurdo più totale.
Le domande, oggi come allora sono state tante, forse troppe. Il chiedersi degli stessi comunisti, il perchè di un’azione così violenta; per molti, infatti, il patto con la DC, sarebbe stato decisivo per dare quel potere decisionale, a quel partito comunista che in Italia, non aveva mai avuto il successo desiderato dai sostenitori.
Il chiedersi, se la collaborazione dei servizi segreti italiani, con le più note organizzazioni criminali come Mafia, camorra, Banda della Magliana, siano solo leggende; oppure, se davvero lo stato, non sapendo che pesci prendere, decise di trattare con queste istituzioni. Altri si chiedono se, invece, il pretesto del “Caso Moro”, servisse come trampolino di lancio per quella collaborazione Stato-mafia, che tutt’oggi è quasi di pubblico dominio.
E se il patto DC/PCI, disturbasse quegli americani in piena “Guerra fredda”? Non bisogna dimenticare che il Muro di Berlino, divideva due mondi; quello del comunismo e quello della “libertà” e il PCI era un partito che poteva essere molto vicino a quei comunisti dell’Unione Sovietica, tanto antipatici agli USA dell’epoca.
Il “Caso Moro”, portò l’Italia a dei cambiamenti radicali, sia a livello sociale che nei rapporti dello stato, destinati a inasprirsi ancora di più, con i rappresentati di quei movimenti di sinistra.
Nelle testimonianze di alcuni rappresentanti dei NAR, organizzazione nettamente contrapposta alle BR, possiamo notare come, anche dalla loro parte, ci furono momenti di vera paura, quando vennero a sapere del rapimento; infatti, anche nelle altre organizzazioni, ci fu il presentimento che si era arrivati al capolinea e che i movimenti estremisti, avrebbero ricevuto un duro colpo e una reazione severa dallo Stato.
La reazione degli allora rappresentanti di Stato come Cossiga e Andreotti, fu pugno di ferro contro il terrorismo.
Nelle loro richieste le BR, pretendevano in cambio della vita di Aldo Moro, il rilascio immediato di alcuni brigatisti in carcere.
La politica si divise in due fazioni; da una parte il fronte della “fermezza”, composto dalla DC, dal PSDI, dal PLI e con particolare insistenza del Partito Repubblicano che rifiutava qualsiasi ipotesi di trattativa. Dall’altra, il fronte “possibilista”, nel quale spiccavano Bettino Craxi, i radicali, i cattolici progressisti che erano per un atteggiamento più “elastico”. PCI e MSI, anche se con atteggiamenti diversi, erano agli estremi del “no” alla trattativa.
La scarcerazione dei brigatisti avrebbe costituito una resa da parte dello stato e quindi dato il via ad altri sequestri? Oppure, il dialogo avrebbe aperto una possibilità di una rappresentanza partitica e parlamentare del loro braccio armato e posto questioni di legittimità in merito alle loro richieste?
Fu adottata la prima linea e non ci furono trattative. La burocrazia italiana fece il resto (come sempre). I comunicati si susseguivano, insieme alle lettere che il Presidente inviava ai suoi cari.
Alcune testimonianze di certi pentiti, come Maurizio Abbatino, uno dei capi carismatici della Banda della Magliana, riflettono quella realtà, descritta da alcuni, di come lo Stato sia stato in qualche modo complice dell’omicidio del Presidente. Abbatino, infatti, in una dichiarazione, precisa dei dettagli significativi della vicenda.
Ad esempio, l’appartamento di Via Gradoli, appartenuto a Enrico De Pedis, affittato da un uomo, che poi risultò essere Mario Moretti; dichiarazione fatta dallo stesso De Pedis ad Abbatino. De Pedis affermava, di essersi incrociato con Moretti per le scale del palazzo e di averlo riconosciuto. Fatto avvenuto proprio nei giorni in cui proseguivano le ricerche (ufficiali e non), del Presidente.
In base alle dichiarazioni dei pentiti della Banda della Magliana, l’anello delle ricerche fu interroto bruscamente, nonostante gli stessi appartenenti alla banda, avessero (probabilmente) individuato la “prigione del popolo”.
Oggi, quei misteri, sono ancora sulla bocca e nella mente di tutti. Esaminare il caso di Aldo Moro non è affatto semplice. A distanza di 38 anni, tanti misteri e tante domande ancora trovano risposta. Insabbiare molte prove è stato per decenni l’obiettivo di molti apparati dello stato.
Andando avanti negli anni e ascoltando sempre più testimonianze, diventa sempre più palese che la morte sia stata voluta. Per molti le BR non avevano la forza per organizzare un rapimento di quell’entità, per altri Moro aveva in mente una strategia di governo che sarebbe stata molto pericolosa per l’Italia stessa e gli alleati.
Un mistero italiano, composto da quelle figure che hanno fatto la storia oscura di questo paese. Il Caso Moro è riuscito, in modo del tutto involontario a gettare un pò di luce, in quel mistero che è lo Stato italiano. Il Suo rapimento ha portato a scoprire quelle carte e quei “burattini” che probabilmente non sarebbero mai usciti allo scoperto. Quei giocatori, nascosti nelle stanze del potere, con delle cariche create appositamente per depistare il popolo, che ancora oggi manovrano quel gioco perverso del comando, dove una vita ha la stessa validità di una mossa vincente.