Ladispoli, caso Marco Vannini – Arrivano dopo quasi tre anni le richieste del pm Alessandra D’Amore, che vorrebbe la condanna di tutta la famiglia Ciontoli, in particolare 21 anni e 3 mesi per Antonio, il padre della fidanzata Martina e 14 per il resto della famiglia. Il 18 aprile dovrebbe esserci, finalmente, la sentenza della Corte d’Assise di Roma.
Il caso di Marco Vannini è uno di quelli che toglie il sonno, per molti motivi. Al centro della tragica vicenda c’è la morte di un ragazzo di soli 21 anni, Marco per l’appunto, avvenuta a casa della sua ragazza, Martina Ciontoli, la sera del 18 maggio 2015. Una morte senza senso e una verità che come sempre più spesso accade, non si saprà mai.
Marco Vannini è morto poiché raggiunto da un colpo di pistola sparatogli da Antonio Ciontoli,il padre di Martina. Ricostruire la vicenda in poche righe appare difficile, soprattutto perché cosparsa di menzogne e omissioni che hanno reso arduo il lavoro anche agli inquirenti, nel tentativo di ricostruire almeno in maniera veritiera l’accaduto.
Le chiamate al 118
Quella sera Marco si trovava a casa della fidanzata Martina. Erano circa le 23.30 quando partì un colpo dalla pistola di Antonio Ciontoli che ferì Marco. Federico Ciontoli, figlio di Antonio e fratello di Martina, chiamò il 118 ma parlò di “attacco di panico”. L’operatrice non sapendo nulla dello sparo, dopo aver parlato anche con la madre, disdice l’uscita dell’ambulanza. Una seconda chiamata venne effettuata mezz’ora dopo da Antonio Ciontoli stesso. Anche in questo caso fu vergognosamente omesso che Marco fosse stato ferito da un’arma da fuoco. Ciò farà sì che l’ambulanza arrivi senza azionare le procedure d’emergenza. All’una di notte finalmente i soccorsi giunsero presso l’abitazione dei Ciontoli a Ladispoli. Ma ancora nessuno parlò di sparo. All’arrivo in ospedale l’ultimo tentativo di Antonio Ciontoli di non far trapelare nulla sul colpo “partito accidentalmente” (così come riferisce il Ciontoli), ma alla fine, dopo aver parlato a vanvera di ‘un buchino con un pettine appuntito” ammise il fatto. I medici finalmente informati, attivarono le procedure d’emergenza, chiamando l’elicottero che avrebbe dovuto trasportare Marco all’ospedale di Roma. Ma Marco non ce la fa. Il tempo di spiccare il volo e la sua giovane vita si spense. È così che tra menzogne e omissioni Marco Vannini trovò la morte alle 3.10 di quella stessa notte.
Una famiglia intera sul banco degli imputati: i Ciontoli
Questa storia, dicevamo, colpisce per vari motivi: la giovane età della vittima e l’ambiente dove si è verificato il suo ferimento letale. Una famigli intera, i Ciontoli, che omette e ritarda i soccorsi. “Per non pregiudicare il suo lavoro”, dirà poi Antonio Ciontoli, che faceva parte dei servizi segreti della Marina Militare e per questo possedeva regolarmente l’arma. Il processo, davanti alla prima Corte d’Assise di Roma, vede sul banco degli imputati l’intera famiglia Ciontoli accusata dalla pm Alessandra D’Amore di aver rimandato i soccorsi nel tentativo di mascherare quanto avvenuto per timore delle conseguenze. Per loro l’accusa è di omicidio volontario in concorso. Nel processo è imputata anche la fidanzata di Federico Ciontoli, Viola Giorgini, presente quella sera ma per la quale l’accusa chiede due anni di carcere (con sospensione della pena) solo per omissione di soccorso.
Marco Vannini avrà giustizia?
Ha fatto molto discutere questo caso. In primis perché non vi è stata alcuna carcerazione preventiva. Nessuno dei Ciontoli ha mai fatto un solo giorno di galera anche se è certo che il ferimento mortale di Marco Vannini sia avvenuto in casa loro e per mano, a quanto dichiarato dagli stessi, di Antonio Ciontoli. Sebbene non mi voglia intromettere nelle decisioni giudiziarie, certamente essendo coinvolta un’intera famiglia, lasciarla insieme, libera di parlare ed eventualmente decidere la versione comune da fornire, potrebbe aver pregiudicato alcune prove e testimonianze. Tutto stride, in questa tragedia dell’assurdo: un agente dei servizi segreti, Antonio Ciontoli, a cui parte accidentalmente un colpo di pistola. La fidanzata Martina, che non chiama i soccorsi e che, pochi giorni dopo l’accaduto, darà un esame in università, implorando un voto più alto poiché:
Prof mi metta 28, sono quella a cui è morto il fidanzato
La voce sofferente di Marco, che si sente in sottofondo, registrata dal 118, durante le due chiamate. Una voce che implora e chiede scusa. Diranno, infine, che nessuno sapeva fosse partito un colpo di pistola, eccetto Antonio Ciontoli. Come se all’interno di una casa fosse possibile non udire il rumore di uno sparo. Diranno, poi, che sembrava stesse bene. Il primo provvedimento a carico dell’uomo arrivò solo 8 mesi dopo il fatto, in quanto il codice della Marina Militare prevede la sospensione dall’impiego per i militari contro i quali venga avanzata una richiesta di rinvio a giudizio. Durante il processo (primo grado) è emerso che Marco, se fosse stato soccorso subito, avrebbe potuto salvarsi. Un’intera famiglia ha assistito impassibile all’agonia di un ragazzo, per ore. Per niente.
Marta Migliardi