In questi giorni, guardando il telegiornale, potreste aver intravisto, tra le notizie riferite all’Afghanistan e i litigi a proposito del Green Pass, qualcosa riguardante le proteste di alcuni lavoratori toscani. Si tratta infatti di alcune manifestazioni aventi a che fare con il caso di GKN, un’azienda fiorentina che, già da quest’estate, aveva conquistato un suo spazio nella discussione politica. Vediamo perché e quali sono le novità che, invece, riguardano tutti.
Cos’è GKN
Non si può analizzare il caso di Gkn senza raccontare un po’ di storia dell’azienda. Si tratta di una multinazionale britannica, che costruisce componenti per le automobili, per i mezzi agricoli e anche per i velivoli. La società fiorisce durante la rivoluzione industriale tra le colline del Galles: viene fondata nel 1759 con il nome di Dowlais Ironworks, per poi assumere il nome di Guest, Keen and Nettlefods e trasferirsi ufficialmente a Worchestershire, nelle Midlands. I suoi 51 stabilimenti sono distribuiti in oltre 30 Paesi: in essi lavorano quasi 28000 dipendenti. In Italia le sedi sono due: a Campi Bisenzio, a una ventina di chilometri da Firenze, e a Brunico, in provincia di Bolzano.
La crisi degli anni Novanta
GKN ha acquisito nel 1994 lo stabilimento fiorentino di Fiat Auto, del cui indotto la stessa società britannica era parte, fornendo la quasi totalità dei semiassi impiegati dal gruppo. Intanto, però, ha dovuto fare i conti con i problemi delle crisi energetiche e della globalizzazione. Gkn si è poi trasferita a Capalle, in uno stabilimento costato 120 miliardi e con 700 dipendenti.
Il triangolo tra il mercato, l’azienda e la tutela dei lavoratori era delineato in un accordo sindacale: esso prevedeva che Gkn si approvvigionasse per le sue componenti negli stabilimenti italiani. Cosa che avviene: Gkn poi vende quel che produce a Fca, per l’80% del totale, e il restante delle componenti vengono montate su Audi, BMW, Ferrari, Maserati e Land Rover. Ma questa cosa degli approvvigionamenti in Italia tenetela a mente: ci servirà tra un attimo.
L’arrivo di Melrose Industries
Nel 2018, però, Gkn Driveline viene acquisita da un grande fondo di investimento finanziario. La Melrose Industries, quotata nel mercato azionario di Londra, non perde tempo e in men che non si dica mette in chiaro i suoi obiettivi: portare avanti una maxi ristrutturazione dell’azienda. Ora, se la finanza non è il vostro pane quotidiano, potreste pensare: “Bella notizia, ristrutturano, un po’ di modernità in azienda fa bene a tutti”. Ecco, no: “ristrutturare” in finanza significa portare avanti un’analisi accurata della situazione relativa ai soldi che un’azienda spende, il cosiddetto “indebitamento aziendale”. Significa, quindi, scavare per vedere quali cose vanno bene e quali vanno male. Un po’ come se in famiglia, per spendere meglio i vostri soldi, vi radunaste intorno a un tavolo e diceste: “Uhm, forse c’è un modo per eliminare tutte queste spese in babysitter?”. Non perché le vostre casse siano prosciugate o perché la situazione vada male, semplicemente perché se i vostri figli ora sono maggiorenni, quella potrebbe essere una spesa non necessaria. Oppure perché potreste aver trovato un’opzione più economica, anche se siete ricchissimi. Il cuore del problema, infatti, è la questione del profitto: meglio (non necessariamente meno) spendete i vostri soldi, più guadagnate. Parentesi semplicistica sulla ristrutturazione finanziaria terminata.
Di bene in meglio o di male in peggio?
Dunque, a Gkn la Melrose arriva e pensa una cosa di questo genere: l’azienda va bene, ma può andare pure meglio, se riusciamo a tagliare qualche spesa qui e qualche spreco là. E qual è il passaggio successivo? Esattamente come nel caso delle babysitter di cui sopra, ci si chiede: “Serviranno tutte quelle risorse umane?” Quindi, avete già capito a cosa punta la Melrose: ai tagli del personale.
Melrose in soldoni dice a Gkn: bisogna licenziare, chiudere e andare altrove, dove gli stipendi costano meno. Gkn rifiuta la prima proposta, ma nel marzo del 2018 Melrose presenta una nuova offerta, che ammonta a 8,1 miliardi di sterline. I lavoratori e i sindacati non ci stanno, ma il fondo ottiene la fiducia degli azionisti. Anche il governo inglese approva e consente l’inizio della ristruttuazione, a patto che Melrose rispetti alcune “misure di sicurezza nazionale“. Il resto è cronaca societaria. Melrose acquisice Gkn e per fare in modo che aumenti i suoi profitti la divide in tre parti: Gkn Aerospace, Automotive e Powder Metallurgy.
I fatti del 9 luglio 2021
Ma questo avviene nelle stanze dei bottoni e degli azionisti. Il 9 luglio del 2021, nelle sfere molto più basse dell’organigramma aziendale, 422 dipendenti dello stabilimento di Campi Bisenzio vengono licenziati. Con un messaggio su Whatsapp o, al massimo, con una mail. Subito gli animi si scaldano e scendono in campo il ministro del Lavoro Andrea Orlando e Giancarlo Giorgetti dello Sviluppo Economico. I rappresentanti dell’azienda, di Confindustria, delle amministrazioni locali e dei sindacati discutono della decisione di GKN. L’azienda porta avanti la linea dell’irrevocabilità, perché dice che l’impianto deve chiudere, senza se e senza ma.
In che senso “deve chiudere”?
Come? Deve chiudere? Ma Gkn è un’azienda solidissima, si obietta: il lavoro c’è e il mercato è florido. Certo, rispondono i piani alti, ma qui non è questione di crisi. I sindacati puntano il dito contro la Melrose e, in generale, contro la politica di delocalizzazione portata avanti da molti fondi di investimento. Il fondo dice: “meglio chiudere, licenziare e aprire uno stabilimento altrove, dove la manodopera costa meno“. Non è la prima volta che le piccole e medie imprese italiane subiscono questo destino: è il lavoro dei fondi di investimento. Arrivano, guardano le spese e puntano a tagliare, per aumentare i profitti. E spesso a farne le spese sono i lavoratori, specialmente quelli delle aziende antiche, magari con una gestione familiare, e non grandissime.
La mobilitazione dei lavoratori di Gkn
Ma non è finita qui. I lavoratori toscani hanno organizzato una grande mobilitazione. Alcuni l’hanno addirittura descritta come “una nuova fase di lotta operaia”, in una sorta di riscoperta del senso di collettività. Al di là dei simboli, intanto, la giustizia è andata avanti: la Fiom Cgil di Firenze ha presentato ricorso al tribunale di Firenze. E questa è notizia delle ultime ore: il tribunale ha condannato GKN a revocare la lettera che apriva la procedura di licenziamento collettivo dei 422 lavoratori. Certo, è solo la prima battaglia vinta di una guerra che si prospetta lunga e faticosa: l’azienda, infatti, non ha intenzione di stare a guardare e probabilmente impugnerà la decisione del tribunale fiorentino.
Gli altri pezzi del caso Gkn
Ma non è solo il licenziamento a bruciare sulla pelle dei lavoratori e del sindacato: quello che Gkn avrebbe portato avanti, secondo la Fiom, è un atteggiamento anti-sindacale, improntato a non rispettare gli accordi e la contrattazione di GKN in Italia. Il tribunale ha dato ragione al sindacato, perché ha rilevato che l’azienda ha di fatto impedito di portare avanti un dialogo: la decisione dei licenziamenti e della chiusura, infatti, è arrivata senza altre comunicazioni.
Oltre al tornado sindacale che si è abbattuto su Gkn, però, c’è dell’altro. Nell’esposto dei 422 operai dell’azienda si legge che la multinazionale non avrebbe tenuto una condotta propriamente limpida e rispettosa degli accordi di produzione: frode in commercio, tecnicamente. Alla Stellantis di Melfi (del gruppo FCA) e di Atessa sarebbero arrivati semiassi formalmente attribuiti a Campi Bisenzio, ma in realtà prodotti altrove. Un fatto che, se verificato, si tradurrebbe in una violazione degli accordi sugli approvvigionamenti in Italia, che abbiamo citato prima.
Il caso Gkn come questione sociale collettiva
La situazione, quindi, è in evoluzione e un punto fermo appare ancora molto lontano: i sindacati chiedono infatti l’aiuto del governo in tema di delocalizzazioni. Vorrebbero una legislazione più rigorosa, che impedisse ai grandi gruppi industriali di fare il bello e il cattivo tempo sulla pelle dei lavoratori. Chiaro è, che, dal punto di vista dell’attrattiva degli investimenti, leggi più rigide in questo senso potrebbero dissuadere gli imprenditori dall’immettere soldi nel nostro sistema produttivo e industriale. Sarà interessante capire quale soluzione verrà individuata, per mantenere un livello di competitività che, allo stesso tempo, non faccia sentire i lavoratori come merce usa e getta. Senza dimenticare che la disoccupazione, alla fine diventa un problema anche per i profitti delle aziende: chi non guadagna, non spende. E soprattutto rimanda l’acquisto dell’auto nuova a data da destinarsi.
Elisa Ghidini