Nella giornata di ieri, martedì 9 aprile, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha emesso una decisione storica riguardante il caso di Giuseppe Uva, un uomo di 43 anni originario di Varese. La vicenda del caso Giuseppe Uva, che risale al 2008, ha visto l’uomo trovare la morte nel reparto psichiatrico dell’ospedale di Circolo di Varese, dopo essere stato fermato e sottoposto a Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) dalle forze dell’ordine.
La decisione della CEDU ha parzialmente ribaltato una sentenza precedente del 2019, che aveva assolto sei agenti della Polizia di Stato e due carabinieri coinvolti nella vicenda. Questo evento segna un punto di svolta nella lunga ricerca della verità e della giustizia da parte della famiglia di Giuseppe Uva.
Una decisione storica della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
La giornata di ieri ha segnato un momento storico con la decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), che ha parzialmente accolto il ricorso presentato dagli avvocati della famiglia di Giuseppe Uva, un uomo di 43 anni originario di Varese. Il caso Giuseppe Uva risale al 2008, quando Uva trovò la morte nel reparto psichiatrico dell’ospedale di Circolo di Varese. La CEDU ha ribaltato così la sentenza del 2019, che aveva precedentemente stabilito la non colpevolezza dei sei agenti della Polizia di Stato e dei due carabinieri coinvolti nella vicenda.
La parziale ammissione del ricorso sul caso Giuseppe Uva porterà ad una serie di conseguenze per lo Stato Italiano, chiamato a risarcire la famiglia della vittima e trovare un accordo con gli avvocati entro la fine del prossimo giugno.
La richiesta di giustizia della famiglia Uva
La famiglia di Giuseppe Uva ha da tempo lottato per ottenere giustizia per la morte del loro caro. Il ricorso presentato alla CEDU dai legali di Lucia Uva, sorella di Giuseppe, si basava su quattro motivazioni, di cui due sono state ammesse per la discussione. Queste riguardano la necessità per lo Stato italiano di spiegare le circostanze dell’arresto di Giuseppe Uva e di condurre un’indagine approfondita sui fatti in questione. In particolare, la parte del ricorso accolto si appella all’articolo 3 della CEDU che parla del divieto di tortura o di pene degradanti e umilianti.
La decisione della CEDU è stata accolta con speranza dalla famiglia di Uva, che ha dichiarato di non essere interessata principalmente al denaro, ma piuttosto alla ricerca della verità e della giustizia per la morte del loro caro. In quanto un potenziale omicidio con responsabilità statale, lo Stato italiano è chiamato a specificare circostanze, motivazioni e le ragioni dell’arresto di Giuseppe Uva; inoltre, si vuole indagare il motivo dei suoi lunghi tragitti e spostamenti. La Corte stessa ha invitato lo Stato a presentare una buona motivazione per le “mancate indagini serie, adeguate ed effettive” sul caso Giuseppe Uva.
La situazione di casi simili in Italia
Giuseppe Uva è stato arrestato nel 2008 in quanto in stato di ubriachezza e sottoposto a TSO; venne portato alla stazione dei carabinieri e dopo poche ore morì per arresto cardiaco. La corte, in un primo momento, ha assolto in primo grado gli imputati, liberandoli quindi dall’accusa di omicidio. Successivamente però, quella stessa sentenza fu impugnata e si formularono le accuse di omicidio e sequestro di persona da parte di pubblici ufficiali – con delle pene che si aggiravano tra i 10 e i 13 anni di carcere. La Corte d’Assise però, anche in questo caso, assolse gli imputati.
Il caso Giuseppe Uva non è unico nel panorama delle controversie legali riguardanti presunte violenze da parte delle forze dell’ordine in Italia. Esistono numerosi altri casi simili, tra cui quello di Stefano Cucchi e Federico Aldrovandi, che sono diventati simboli della lotta per la giustizia e la trasparenza nel sistema giudiziario italiano. Una violenza di Stato che è parte integrante del suo stesso funzionamento. Anche il caso Giuseppe Uva ci dimostra quanto questo tipo di violenza sia sistemico: non esiste e non è accettabile parlare di “mele marce”, poiché non è un caso negativo su mille positivi.
Abusi sessuali, omicidi, sequestri, torture sono all’ordine del giorno e tutti i casi di violenze da parte dello Stato e delle sue spalle destre sono sempre più complicati da risolvere, a causa di continui insabbiamenti e manomissioni di prove e fatti. Anno dopo anno, si cerca giustizia senza mai effettivamente farla.
Le conseguenze dopo la decisione della CEDU
La decisione della CEDU ha un significato che va oltre il caso specifico di Giuseppe Uva. Potrebbe avere implicazioni significative per il modo in cui le autorità italiane affrontano i casi di presunte violenze da parte delle forze dell’ordine in futuro. Ora, la palla è nelle mani dello Stato italiano, che dovrà rispondere alle domande sollevate dalla CEDU e negoziare un eventuale risarcimento con la famiglia di Giuseppe Uva.
Il giorno limite è quindi il 28 giugno, ovvero il tempo massimo in cui le parti – la famiglia Uva e lo Stato italiano – dovranno trovare un accordo risarcitorio. Nel caso contrario, la CEDU sarà chiamata ad intervenire per verificare le contestazioni e le posizioni rivendicate da entrambe le parti.