Caso Giulio Regeni: a due anni dall’omicidio

Caso Giulio Regeni

Giulio Regeni è stato sequestrato, torturato ed ucciso due anni fa in Egitto, dove stava svolgendo una ricerca di dottorato per l’Università di Cambridge sui sindacati indipendenti egiziani oppositori al regime di Al Sisi.

Il 25 gennaio 2016, proprio nell’anniversario delle proteste di piazza Tahrir (giornata che aveva segnato l’inizio della rivoluzione egiziana del 2011), Giulio Regeni, ventottenne dalle origini friulane, è scomparso: il suo corpo senza vita, con evidenti segni di tortura, è stato ritrovato solamente il 3 febbraio al ciglio di una superstrada, nella periferia della capitale egiziana.





Un’ipotesi immediatamente supportata è stata quella del “delitto di stato”: sono state centinaia le vittime egiziane di sequestri, torture e omicidi e Giulio Regeni poteva essere una persona in più di questa lunga lista, ma con cognome italiano.

Il Governo egiziano in questi due anni non è stato particolarmente collaborativo con le indagini italiane, anzi, spesso è parso più propenso a depistare le ricerche e a perdere tempo.

Solo recentemente, con la ripresa dell’operatività dell’Ambasciata Italiana al Cairo e l’insediamento del nuovo ambasciatore Giampaolo Cantini, Italia ed Egitto hanno iniziato un’apparente comunicazione volta a risanare le relazioni diplomatiche.

Il 21 dicembre scorso la procura di Roma e quella del Cairo si sono scambiate gli aggiornamenti sulle prove raccolte ed è stato finalmente consegnato ai legali della famiglia Regeni il fascicolo giudiziario tanto reclamato: la famiglia si era costituita parte civile in Egitto nel procedimento giudiziario ed ha dovuto inviare i propri avvocati fino al Cairo per ricevere la documentazione.

I genitori e la sorella di Regeni all’Europarlamento. Fonte: Ansa.

Le riprese del 25 gennaio 2016 delle telecamere di sorveglianza, installate nella zona in cui Giulio Regeni fu sequestrato, non sono invece state consegnate alla Procura italiana.





Una novità degli ultimi giorni è un documento arrivato all’ambasciata italiana in Svizzera in una lettera anonima: apparentemente si trattava del verbale di “consegna del detenuto Regeni” al servizio segreto militare da parte del servizio segreto civile egiziano, datato 30 gennaio 2016 e attestante che “il cittadino italiano Giulio Regeniera in buone condizioni fisiche.

Ieri l’immediata smentita da parte della Procura generale egiziana che, in un comunicato, ha detto che il documento è totalmente contraffatto, affermando:

“Dalle indagini è stata appurata con piena certezza e aldilà di ogni dubbio la falsità della lettera apparsa oggi su alcuni giornali italiani. Falsità sia in termini di forma, che di contenuto. Vista la completa contraffazione del documento, è stato deciso di ignorarlo e di non considerarlo una prova nelle indagini“.

Nelle ultime settimane la Procura di Roma ha interrogato Maha Abdel Rahman, tutor di Giulio Regeni presso l’Università di Cambridge.

Il 9 gennaio scorso la professoressa ha smentito di fronte al Pm Sergio Colaiocco di aver imposto a Giulio Regeni sia il tema della ricerca di dottorato, probabile causa del sequestro e omicidio, sia la nomina del tutor che lo avrebbe supportato durante la “ricerca partecipata” di dottorato al Cairo, cioè la professoressa Rabab El Mahdi, attivista e ricercatrice.

Regeni a tal riguardo aveva scritto in una chat con un amico e collega, il 15 luglio 2015:

“Ho fatto il codardo e le ho detto che ero un po’ preoccupato del fatto che è una grande attivista ed io non vorrei essere tanto in primo piano. Lei c’è rimasta male e mi ha detto «finirà che dovremo metterti con qualcuno del governo». Dopo sono tornato nel suo ufficio e le ho detto che mi andava bene il suo nome.”.

Si è letto molto sui media di una possibile complicità di Cambridge nell’omicidio del ricercatore in Egitto, ma è difficile credere che l’Università possa avere una responsabilità penale nel caso Regeni.

A questo proposito Amnesty International ha dichiarato in un comunicato:

 “Amnesty International ha sempre sostenuto che la verità dovesse essere cercata a tutto tondo e apprezza ogni azione investigativa che aiuti a comprendere il contesto nel quale è maturato l’omicidio di Giulio Regeni. Ma eventuali responsabilità di natura morale o civile di altri soggetti non dovrebbero mai essere confuse né equiparate con le responsabilità penali di chi ha compiuto in Egitto quell’omicidio.”.




Ad oggi i colpevoli restano impuniti e la verità sulla morte di Giulio Regeni, a volte quasi palpabile, svanisce di nuovo.

Amnesty International l’anno scorso, per il primo anniversario dalla scomparsa di Regeni, aveva organizzato il #365senzagiulio.

Anche quest’anno Amnesty ha organizzato l’iniziativa #2annisenzaGiulio: nel pomeriggio del 25 gennaio migliaia di manifestanti scenderanno nelle piazze italiane e alle 19.41 (orario in cui si persero le tracce del ricercatore) accenderanno le candele gialle, per ricordare Giulio Regeni e chiedere ancora, con forza, la verità sul suo omicidio.

 

Fadua Al Fagoush

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