Il Caso Giulia Cecchettin ha avuto un tragico epilogo; tutti abbiamo sperato, fino a ieri, che la ragazza fosse ancora viva. Volevamo crederci, ma tutti sapevamo già dall’inizio che Giulia sarebbe morta. Un pattern sempre uguale, l’ennesimo femminicidio, l’ennesima donna che muore per mano di un uomo perché donna. No, non ci stancheremo di dirlo: il patriarcato c’entra, c’entra eccome. Purtroppo, però, invece di spendere le proprie risorse per una corretta sensibilizzazione su temi quali la mascolinità tossica e l’educazione affettiva, i media preferiscono romanticizzare l’accaduto. Così come per il nostro governo, le priorità del giornalismo più in voga sembrano essere altre.
Il caso Giulia Cecchettin scuote l’intero paese, se ne parla su tutti i giornali, nei talk show, alla radio, soprattutto in seguito al ritrovamento del cadavere della vittima. Ma come se ne parla? Più che a divulgazione, negli ultimi giorni cui ci sembra di assistere ad episodi di vero e proprio sciacallaggio mediatico. A partire dall’analisi della narrazione parziale degli eventi a cui assistiamo in questi giorni, vorremmo riflettere sul tipo di informazione che primeggia in Italia, se sia o meno conforme a ciò che per noi significa informare.
Romanticizzare la violenza
Pochi giorni prima del ritrovamento del cadavere di Giulia, la sorella viene intervistata. ‘Siete disposti a perdonarlo?’ chiede una giornalista. L’intento è chiaro: ancora una volta nessuno scopo informativo, ancora una volta ciò che conta è innescare il pietismo degli ascoltatori. La ragazza aspetta la sorella da giorni e una delle prime domande che le vengono rivolte riguarda la concessione del perdono all’ex fidanzato della vittima. Non si sa ancora cosa sia successo a Giulia, ma si parla già di perdono. E’ un’informazione rilevante? Pertinente? E’ il tentativo di strumentalizzare il dolore di una ragazza, ma non solo. La domanda, oltre ad essere inopportuna, sposta l’attenzione sulla sorella della vittima, la questione diventa di carattere morale. Ci sembra che l’episodio parli da se’.
Purtroppo non è un caso isolato. In seguito al ritrovamento del cadavere della ventiduenne in un dirupo nella località di Val Catea, accanto alla rabbia e alla presa di posizione da parte del mondo femminista, c’è chi ha preferito raccontarci ‘come sarebbe andata se’. ‘Se Giulia Cecchettin avesse potuto, sarebbe rimasta incantata da tanta bellezza. La Val Catea ieri sembrava un angolo di Canada: il foliage pareva disegnare un quadro, la natura attorno quasi addormentata‘. Non è l’incipit di una favola, bensì di un articolo di un famoso quotidiano italiano pubblicato in seguito alla notizia del ritrovamento del cadavere di Giulia. Non ci serve immaginare uno scenario alternativo di idillica bellezza, non dovrebbe neanche essere necessario specificarlo. C’è rabbia, tanta rabbia. C’è dolore. Perché lo sapevamo. Questa narrazione romantica è stantia, populista e ci distoglie da ciò che conta davvero, dal riconoscere i pattern, ormai evidenti, che contraddistinguono gli episodi di femminicidio.
Caso Giulia Cecchettin: una narrazione parziale e fuorviante della vicenda
Questo non è giornalismo. E’ mancanza di rispetto, di privacy, di tatto, di professionalità. E’ merce, prodotto. Il dolore delle persone viene venduto in cambio dello scoop. Le persone coinvolte, in questo caso i familiari di Giulia, vengono esposte a valanghe di notizie-spazzatura, ad articoli da quattro soldi in cui si scava nella loro vita privata in cerca di dettagli con cui arricchire la narrazione. La cronaca diventa gossip, discussione da salotto. Lo viviamo quotidianamente, siamo bombardati costantemente da notizie superflue, che hanno il solo scopo di essere ‘accattivanti’, di suscitare il pietismo collettivo.
Un’altra donna è morta, è stata uccisa dall’uomo che, dice il legale del giovane, ‘l’amava tantissimo’. Un uomo che ha deciso della sua vita. Basta pornografia del dolore, basta romanticizzare la violenza. Prendiamoci le nostre responsabilità, abbiamo il potere di parlare alle persone, di scuotere le coscienze. Giulia non è la protagonista di una favola dal finale amaro, è una donna vittima di femminicidio, l’ennesima. Questa cattiva informazione non le rende giustizia. Non vogliamo pietà, vogliamo che la gente capisca che la morte di Giulia è il frutto velenoso della società patriarcale in cui tutti noi siamo immersi. Vogliamo vedere la rabbia, vogliamo vedere donne e uomini scendere in piazza, non solo il 25 novembre.
«Se domani sono io, mamma, se non torno domani, distruggi tutto.Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima»-Cristina Torres Cáceres