Andy Rocchelli, fotoreporter freelance, morì in circostanze poco chiare in Ucraina, nel 2014. Ancora oggi, familiari e colleghi cercano la verità sul suo omicidio.
Il caso Andy Rocchelli
Era il 24 maggio del 2014 quando Andrea “Andy” Rocchelli, 30 anni, morì in seguito a una ferita d’arma da fuoco nel Sloviansk, nella Repubblica Popolare di Donetsk.
Il giornalista e fotoreporter si trovava lì per documentare la guerra del Donbass, che stava infiammando le Repubbliche separatiste ucraine.
In particolare, voleva documentare le condizioni di sofferenza dei civili, minacciati dal conflitto che si stava svolgendo tra ucraini e filorussi.
Con Rocchelli c’erano anche un attivista russo per i diritti umani, Andrej Mironov; e un fotoreporter francese, William Roguelon.
I tre furono sorpresi dai colpi di mortaio della Guardia Nazionale ucraina mentre si trovavano nei pressi di un’antenna televisiva. L’unico superstite fu Roguelon, che riportò gravi ferite.
Nel 2017, la Corte d’Assise processò il soldato volontario italo-ucraino Vitaly Markiv, considerato il dirigente del bombardamento.
Condannato in primo grado a 24 anni, Markiv fu assolto in appello nel 2021.
Ad oggi, nessuno ha scontato una pena per la morte di Andrea. Ma i genitori non si arrendono, e continuano a cercare la verità.
Andrea era amico dell’Ucraina e degli ucraini. Ciononostante, ad ucciderlo, sono state le forze armate ucraine. I risultati delle indagini non lasciano dubbi. Ma le autorità ucraine hanno sempre negato.
Alla luce della rinnovata amicizia fra Italia ed Ucraina, dopo la tragedia in corso, appena sarà possibile, la vicenda dovrà essere chiarita perché finalmente giustizia sia fatta.
I dubbi nelle indagini
Diversi giornalisti e reporter hanno seguito il caso, portando alla luce i dubbi e cercando la verità.
In particolare quattro giornalisti, Cristiano Tinazzi, Olga Tokariuk, Danilo Elia e Ruben Lagattollao, hanno realizzato un’inchiesta sulla morte di Rocchelli.
Il materiale è poi stato raccolto nel documentario “The wrong place“.
Siamo partiti dalla lettura delle carte processuali e abbiamo portato le carte sul terreno, a Sloviansk dove abbiamo effettuato tre sopralluoghi.
In contemporanea abbiamo svolto una indagine parallela che ci ha permesso di ritrovare numerose persone, sia giornalisti che militari che civili, presenti in quei giorni.
Oggetto di critica nell’inchiesta è l’indagine svolta dagli inquirenti.
Questi, infatti, non avrebbero effettuato nessun sopralluogo e si sarebbero affidati solamente alla testimonianza del superstite Roguelon e alle immagini di Google Earth.
Questo, avrebbe impedito di valutare la distanza dei colpi di mortaio, ma soprattutto il grado di visibilità dalla collina da cui sono partiti i colpi.
Un’altra importante indagine è quella svolta dai giornalisti Giuseppe Borrello e Andrea Sceresini, raccolta nel documentario “La disciplina del silenzio”.
Dopo mesi di ricerche sono riusciti a rintracciare Mikhailo Zabrodskyi, ex-militare facente parte della 95esima Brigata Aviotrasportata, che uccise Rocchelli e Mironov.
Oggi, Zabrodskyi siede al Parlamento ucraino ed è membro del Gruppo per le relazioni interparlamentari con la Repubblica italiana,
La mia posizione era esattamente di fronte al luogo dove sono stati uccisi i due giornalisti.
Quel giorno fu avvistata una macchina dalla quale scesero alcuni civili, che si gettarono in un fossato. Non sapevo che fossero dei reporter, ma ricordo che il nostro comandante prese il binocolo e disse: “Quelle persone non devono stare lì”.
Dopodiché diede l’ordine di sparare.
Fu un bombardamento intenso e durò diversi minuti. Non c’era stata nessuna provocazione.
La posizione del governo Zelensky
Pochi giorni fa, i genitori di Rocchelli hanno commentato la posizione del Presidente ucraino Zelensky in merito all’omicidio del reporter.
L’attuale governo ucraino, per ciò che attiene all’uccisione di Andrea, ha proseguito nella linea scelta del precedente, negando la dinamica dei fatti ricostruita dalla magistratura italiana, mentendo e soprattutto costruendo false verità
Il lavoro di Andrea era quello di dare testimonianza della vita distrutta dei civili, coinvolti in una violenta guerra fratricida.
Molto simile a quella a cui stiamo assistendo oggi.
Le immagini di questi giorni ci richiamano alla mente le immagini di 8 anni fa, oggi come allora le prime vittime della guerra sono i civili, che soffrono lutti, privazioni, traumi, fuga
Pur restando solidali con il popolo ucraino colpito dall’invasione russa, i Rocchelli sono determinati a trovare il colpevole della morte di loro figlio.
Noi siamo determinati a impedire che le responsabilità ucraine restino impunite.
Non vogliamo che altri giornalisti o fotografi intenti a svolgere il loro lavoro finiscano nel mirino di chi li considera testimoni scomodi
Giulia Calvani