Era lo scorso settembre quando Casapound venne oscurata da Facebook e Instagram. Le parole del portavoce di Zuckerberg furono ben precise: “le persone e le organizzazioni che diffondono odio o attaccano gli altri sulla base di chi sono non trovano posto su Facebook e Instagram. Candidati e partiti politici, così come tutti gli individui devono rispettare queste regole”.
Era sembrata una scelta più che sana, in un periodo in cui non si fa altro che lamentare come i social network siano inquinati da messaggi di odio, violenza e razzismo. Ovviamente a Casapound la decisione non è andata giù. Il suo fondatore Gianluca Iannone aveva invocato come difesa principi democratici quali la libertà di espressione.
Nessuno si aspettava però che ad un’organizzazione dichiaratamente fascista sarebbe stato sul serio riconosciuto il diritto di esprimersi. Il Tribunale civile di Roma gli ha dato ragione. Casapound ha vinto contro Facebook.
Si è concluso che la cancellazione delle pagine social dell’organizzazione, escludendola di fatto dal dibattito politico, debba essere rimborsata da Facebook. Per l’esattezza a Zuckerberg è chiesto un risarcimento pari a 15.000 euro a cui si aggiungono 800 euro per ogni giorno che trascorre tra la sentenza e la riattivazione delle pagine.
Il giudice Stefania Garrisi ha ritenuto di dover garantire a Casapound un posto nel dibattito politico. Ma quello che è più allarmante è come si crei in questo modo un precedente. In base a questa sentenza nessuna organizzazione o movimento politico dovrebbe poter essere rimosso dai social, anche se ne viola le linee guida.
Mentre Zuckerberg si è trovato negli ultimi giorni sotto le accuse del congresso americano proprio per il mancato controllo sui contenuti politici, in Italia questo controllo viene vietato dalla magistratura. Tra l’altro va ricordato che incitamento alla violenza, all’odio e al razzismo sono vietati non solo dalle linee guida social ma anche dalla nostra Costituzione.
Facebook aveva preso in mano una situazione che il Parlamento si era rifiutato più volte di toccare. Casapound ha vinto contro Facebook e contro la Costituzione, verrebbe da dire. La verità è che il Tribunale civile di Roma ha emesso una sentenza che cambia radicalmente il rapporto tra politica e social. Verissimo che nel 2019, come ha precisato il giudice, non stare sui social significa anche non partecipare al dibattito politico. Proprio per questo sarebbe necessario un controllo forse maggiore su come le organizzazioni politiche usino queste piattaforme. Al contrario invece si giustifica la politica a fare sui social ciò che vuole, garantendole l’impunità totale.
Non solo non esistono delle leggi adeguate a garantire il rispetto dei principi costituzionali nel mondo virtuale, ma quelle azioni punitive che le stesse piattaforme mettono in campo non sono più valide.