La lunga e silenziosa guerra nella Casamance, dove si combatte da quarant’anni

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La regione della Casamance, situata nel sud del Senegal, è teatro dal 1982 di un conflitto a bassa intensità che ha provocato migliaia di vittime e costretto una buona parte della popolazione a emigrare. Storicamente marginalizzata e ricca di risorse naturali, questa striscia di terra racchiusa tra il Gambia e la Guinea-Bissau, è minacciata tanto dalla guerra quanto dal cambiamento climatico, ma le cose potrebbero cambiare grazie a una nuova generazione di attivisti

Tra i molti conflitti che divampano nel mondo e dei quali in Occidente si parla raramente, quello che dal 1982 lacera la regione della Casamance è uno dei più longevi. Situata nel sud del Senegal, la Casamance è una striscia di terra particolarmente fertile racchiusa tra il Gambia e la Guinea-Bissau, con una popolazione a maggioranza cattolica e animista di etnia diola, laddove nel resto dei territori del governo di Dakar la maggior parte degli abitanti sono musulmani e l’etnia prevalente è quella wolof. Caratterizzata da una storia, una società e una cultura profondamente diverse da quelle del resto del Senegal, la Casamance è ormai da decenni il teatro di un conflitto a bassa intensità che ha prodotto danni ingenti al territori e migliaia di vittime e che, nonostante i precedenti fallimentari, una nuova generazione di attivisti sta provando ad arginare prima che questo porti alla distruzione definitiva delle risorse di una regione i cui abitanti non hanno mai tollerato le misure imposte dal governo centrale del paese.

Le motivazioni del conflitto della Casamance

Il conflitto nella Casamance affonda le sue radici già nell’epoca della colonizzazione del Senegal da parte della Francia, durante la quale la regione, nella quale si registrarono frequenti episodi di ribellione nei confronti dei colonizzatori, fu amministrata separatamente dal resto del territorio di Dakar. Infatti, fino al 1939, la Casamance era considerata parte dei territori noti come Les Rivières du Sud  e solo negli ultimi anni dell’esperienza coloniale fu annessa al Senegal, un’unione tardiva che avrebbe creato un clima di grande tensione quando nel 1960 il paese avrebbe acquisito ufficialmente la sua indipendenza.

L’ostilità tra Dakar e gli abitanti della Casamance si può ricondurre a due ordini di ragioni principali, uno politico-culturale e l’altro invece più strettamente economico:

  1.  La società della Casamance, abitata da popolazioni di etnia diola, nonché a maggioranza cattolica e animista in un paese dove la religione prevalente è quella islamica, è storicamente improntata a un forte egualitarismo e caratterizzata da un tipo di governo fondamentalmente decentralizzato, refrattario ad accettare qualsiasi forma di gerarchia imposta dall’altro. A partire dal 1939 e ancora di più con l’indipendenza del Senegal, le popolazioni della Casamance furono costrette a fare i conti con l’imposizione di un governo centralizzato e nazionale, in un contesto nel quale permaneva un sistema basato sulle caste, la religione principale era quella musulmana e convivevano diversi gruppi etnici, con i diola ridotti a componente minoritaria. Come prevedibile, l’annessione a Dakar non fu accettata pacificamente da una popolazione che storicamente aveva promosso forme di governo egualitario e le tensioni con il resto del Senegal non tardarono a manifestarsi, con i primi segnali di un potenziale conflitto già evidenti prima dello scoppio “ufficiale” della guerra nel 1982.
  2. Un secondo ordine di motivi, che per altro è particolarmente rilevante al giorno d’oggi, riguarda la presenza nella Casamance di un’abbondanza di risorse naturali legate all’agricoltura e alla raccolta di legname, grazie a un clima particolarmente favorevole che contraddistingue la regione rispetto al resto del Senegal. L’annessione di una regione così fertile e piena di risorse naturali rappresentava una fonte di ricchezza non indifferente per il governo di Dakar, che presto mise in atto una serie di misure che le popolazioni della Casamance considerarono predatorie e non così distanti da quelle che avevano portato avanti i coloni francesi.

Le popolazioni diola della Casamance, egualitarie e legate a un territorio straordinariamente florido in un contesto come quello africano, hanno faticato fin da subito ad accettare l’annessione ai territori del Senegal, un’annessione percepita di fatto come un’estensione dell’esperienza del colonialismo. L’imposizione da parte del governo di Dakar di politiche che portassero in qualche modo all’assimilazione delle popolazioni del Senegal agli abitanti di un moderno stato-nazione, prima attraverso quella che Lorenzo Barraco definisce una francesizzazione del paese e quindi attraverso il favoreggiamento della lingua e della cultura del popolo wolof, non è mai stata accettata dagli abitanti della Casamance, che non tardarono a manifestare la propria intolleranza con episodi di ribellione che avrebbero portato all’accensione di un conflitto che ancora oggi non accenna a spegnersi del tutto.

Un conflitto a bassa intensità che fatica a spegnersi

Nei primi anni dopo la conquista dell’indipendenza di Dakar, la popolazione diola della Casamance, caratterizzata da una storia, una società e una cultura così apertamente in contrasto con quelle del Senegal, fu costretta a sopportare una serie di politiche che da una parte ne aumentavano il senso di esclusione sociale, dall’altro ne danneggiavano l’economia, soprattutto quando a partire dal 1964 alcune delle loro terre vennero de facto confiscate dal governo e destinate alla coltura delle arachidi, storicamente associate all’esperienza del colonialismo francese. Il diffuso malcontento della popolazione diola, che per altro era stata spettatrice privilegiata delle lotte anti-governative nei territori confinanti di Gambia e Guinea-Bissau, fu incanalato e quindi amplificato da Padre Augustin Diamacoune Senghor, prete cattolico che con il suo intenso lavoro di proselitismo contribuì alla costruzione di una coscienza collettiva all’interno della regione della Casamance, di un’identità alternativa rispetto a quella del resto del Senegal che il governo di Dakar voleva imporre anche ai diola.

La situazione di continua tensione e la sempre più aperta intolleranza nei confronti dell’operato di Dakar, percepito come predatorio e non così diverso da quello dei francesi, raggiunse un picco all’inizio degli anni Ottanta e sfociò in aperta ribellione a partire dal 26 dicembre 1982, quando un gruppo di manifestanti tolse le bandiere senegalesi dai palazzi governativi nella città di Ziguinchor.  Questo gesto, che fu architettato dal neonato Movimento delle forze democratiche della Casamance (MFDC), diede inizio ufficialmente al conflitto nella regione, che perdura da allora e ha come obiettivo quello di conquistare l’indipendenza della regione dal governo di Dakar.

È bene notare che, sebbene la guerriglia nella Casamance vada avanti in maniera più o meno continuativa dal 1982, questa è caratterizzata da una bassa intensità e si concretizza principalmente in episodi di violenza portati avanti dalla frangia più estremista del MFDC (i cosiddetti Akita), a cui il governo senegalese ha sempre risposto con ferocia per cercare in ogni modo di impedire in ogni modo alle popolazioni della Casamance di ottenere l’indipendenza, anche dividendo forzatamente la regione in due zone amministrative. Negli anni si sono susseguiti diversi tentativi di negoziati di pace e addirittura un cessate fuoco nel 2014, tuttavia nessuno di questi ha davvero affrontato con l’attenzione e la delicatezza necessaria le radici storiche, sociali ed economiche del conflitto, portando di fatto soltanto all’incremento delle tensioni all’interno delle diverse frange del MFDC. Quest’ultimo avrebbe nel frattempo consolidato attività illegali legate alla pesca e al traffico di legname e droga, che rappresentano una minaccia sempre più grossa per l’economia della Casamance, messa ulteriormente sotto pressione per via del cambiamento climatico e delle sue conseguenze sulla fertilità del territorio.

La recrudescenza del conflitto e i possibili scenari futuri

Nonostante la firma di un cessate fuoco nel 2014, il proseguimento delle attività illegali da parte del MFDC ha portato il governo senegalese a riprendere le ostilità, con attacchi alle basi del movimento della Casamance che a partire dal marzo 2022 hanno portato al raggiungimento di un nuovo picco di violenza. Nell’ultimo anno il Senegal è infatti diventato teatro di una recrudescenza del conflitto, che ha portato decine di migliaia di persone a lasciare i territori e della Casamance e prodotto quelle che si stimano essere quasi cinquemila vittime, sebbene non si abbiano dati certi a riguardo. Il costante fallimento di ogni trattativa di pace, le minacce immediate a quelle che sono le maggiori fonti di ricchezza della Casamance e la noncuranza nella comunità internazionale nei confronti di un conflitto che da quarant’anni incendia il Senegal, a cui si aggiungono le tensioni sempre più forti tra il governo di Dakar e quello del Gambia pronto a sostenere i separatisti del MFDC, sembrano delineare un quadro disperato, uno stallo sanguinoso dal quale uscire appare quasi impossibile. Tuttavia, non tutti hanno perso le speranze e, sebbene le notizie che arrivano dalla Casamance siano poche e non certo confortanti, sembra che una nuova generazione di attivisti si sia messa all’opera per cercare di salvaguardare una regione distrutta dal conflitto e dalle sue conseguenze.

Questi attivisti lavorano incessantemente non soltanto per provare a porre fine alla violenza e alla corruzione nella regione, ma anche per promuovere lo sviluppo economico sostenibile e la tutela delle risorse naturali della regione, pesantemente minacciata dalla crisi climatica. Vi sono infatti diverse organizzazioni nella società civile della Casamance che hanno cercato di promuovere forme di sviluppo sostenibile nella regione, lavorando su tematiche come l’agricoltura sostenibile, la tutela dell’ambiente e il sostegno alle comunità rurali, sensibilizzando l’opinione pubblica a riguardo e tentando di promuovere la protezione dell’ambiente e la mitigazione del cambiamento climatico nella regione. Non è possibile prevedere fino a che punto quest’opera di attivismo e sensibilizzazione sarà in grado di contrastare efficacemente le azioni predatorie e distruttive messe in atto ai danni di popolazione e territorio da parte di tutte le fazioni coinvolte nel conflitto, ma la presenza in Casamance di nuove generazioni che lottano perché la regione non sia più teatro di distruzione rappresenta una fonte di speranza all’interno di un conflitto che negli ultimi quarant’anni di speranze ne ha alimentate davvero poche.

Chiara Bresciani

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