Da poco uscito il secondo capitolo della stagione finale della “Casa di carta” è già negli annali delle serie più amate di sempre. La gang dalle tute rosse e i volti disegnati dal pennello di Dalì sono entrati in scena, questa volta nella Zecca di Stato e nelle case di milioni di spettatori in tutto il mondo. A guardarli da vicino sono un gruppo di ladri con molteplici riconoscimenti alla carriera e i complimenti niente meno che da Lupin. Cosa spinge gli spettatori a fare il tifo per il lupo e non per la nonna di Cappuccetto Rosso?
La casa di carta colpisce ancora
Impressionanti sono le cifre da capogiro di ascolti e visualizzazioni della “Casa di carta“, serie evento dell’anno. Vista in mondovisione non ha nulla da invidiare ad altre celeberrime fiction d’oltreoceano. Ingredienti di successo sono sicuramente la distopica trama ma anche gli eventi accattivanti e i colpi di scena imprevisti. Tutto collocato in una rete ben congeniata dove ogni cosa ha un senso. Almeno nel mondo della fantasia piace pensare che la vita possa averne.
Primo piano nella riuscita dell’esperimento cinematografico hanno sicuramente giocato tutti questi elementi, senza trascurare la bravura e professionalità del cast. Ma non solo.
I personaggi della “Casa di carta”
Sin da subito vengono presentati i membri della banda, inquadrati da vicino. Si finisce per conoscerne i caratteri più singolari, ci si identifica in alcuni, si prendono le distanze da altri. Si tratta però sempre dei cattivi della vicenda. Coloro che infrangono le regole poste a tutela di tutti per motivi egoistici, distruggendo e rubando.
Nessun affezionato telespettatore spera però che il commissario Tamajo, sull’orlo di molteplici attacchi di cuore, riesca nel suo lavoro e ripristini la regolarità degli eventi. Abbiamo forse perso il senso di giusto?
La risposta non soddisfa perché bisogna cambiare punto di vista. Ciò che appassiona tanto non è che le cose vadano come devono, non il trionfo dell’ordine e dell’equilibrio ma dell’imperfezione tutta umana. I protagonisti non sono eroi invincibili dal mantello scintillante. Sono donne e uomini comuni che sognando realizzano l’impossibile.
Quello che piace dei protagonisti è proprio il fatto che non intraprendano un viaggio alla ricerca della perfezione con sicura rotta di collisione. Lottano per tenere insieme i cocci di se stessi. Schegge impazzite in esistenze al limite non si arrendono, rappresentano la resistenza nella loro vita prima ancora che nella Banca di Spagna.
Amano con tutte le loro forze perché così hanno sempre fatto, unica certezza che percorsi complessi hanno insegnato loro. Delle volte sbagliando ma sempre al tempo scandito dai loro personali orologi.
L’umano risplende oltre le scene di azione e disarmante crudeltà. In spezzoni di fraterna affezione reciproca tra brindisi e balli sfrenati sotto la luce testimone della luna.
Nairobi incarna l’intrepido. La forza nella sua essenza più profonda, quella di una donna. Tokyo insegna che si può amare più di una volta anche se in modi diversi e vivere più vite nel corso della stessa. Dove ogni cosa che finisce, per quanta tristezza possa portarsi dietro, è solo il primo atto della successiva. Rio che per quanto profondo possa essere un sentimento, a prevalere deve essere sempre il rispetto verso se. Berlino che la vita è una frazione di emozioni da vivere con la gioia di un bambino anche negli istanti più oscuri. Il professore che non c’è logica che tenga al Dio che fa tremare le gambe alla ragione, perché spesso ne è privo: l’amore.
“Bella Ciao”
Ciascuno ha uniche aspirazioni e visioni del mondo, ma tutti cercano la libertà. Ecco la chiave, il quid che ne ha segnato il successo. Il filo portante che lega ogni colpo è la rivendicazione della propria libertà di essere senza sottoporsi allo schema dello stare al mondo imposto. Ribaltando leggi sociali consolidate imponendo una propria versione di vivere.
Non a caso in più episodi si intona con profondo trasporto una canzone famigliare, certamente non bisognosa di presentazioni: “Bella Ciao“. Ballata intonata durante la Resistenza contro il comune nemico del Nazi-fascismo dai Partigiani italiani. Non la ricchezza o l’onore animavano i coraggiosi combattenti ma la libertà per la quale rischiarono e molti trovarono la morte.
Chiaramente l’ambientazione che accoglie il susseguirsi delle note è diverso, ma la scelta affatto casuale. I seguaci del professore rischiano il tutto per tutto, dando una scossa ad una grigia esistenza, per ottenere quella tanto agognata libertà. Lo spettatore incollato allo schermo, per più di 50 minuti a ripetizione, evade anche lui dall’ordinario. Manda all’aria la stabilità economica e la credibilità di uno Stato, incapace di difendersi dai vincitori della Sagra del Carnevale, comodamente dal suo divano.
Ama, sogna, piange e gioisce con il cattivo della favola sentita da bambino. Si accosta alla causa e grida alla resistenza. Qui il nemico comune è la paura di non vivere abbastanza, di restare incastrati in un’esistenza disegnata da altri.
Ogni componente della banda rappresenta chiunque sia stato almeno una volta una pecora nera smarrita della costruita società moderna. Bizzarra componente del gregge ma libera nell’inseguire un folle sogno. Forse irraggiungibile ma non per chi, con la delicatezza di un origami, continua a credere nell’impossibile.