Lasciata Hiroshima ed i fantasmi del suo passato, lo shinkansen ci porta a Kanazawa. Kanazawa si trova sul lato opposto dell’isola di Honshu, affacciata sul Mar del Giappone. La città, circondata dalle Alpi Giapponesi, offre scorci meravigliosi tra le antiche vie del centro. Arriviamo in tarda mattinata, quasi all’ora di pranzo e, tolta la fame con un hamburger di gamberi del combinì, ci dirigiamo all’alloggio. Una volta lasciati i bagagli, si parte in esplorazione!
Passeggiare per Kanazawa equivale a tornare indietro al Giappone degli Shogun. Molti edifici storici, tra cui le abitazioni dei samurai del quartiere di Nagamachi e le case delle geishe, nel quartiere del piacere Higashi Chaya-machi, nascoste da viuzze lastricate da percorrere rigorosamente a piedi, sono ancora lì a testimonianza di un’epoca affascinante, ricca di crudeltà e bellezza insieme.
La città è famosa in tutto il Giappone per la lavorazione della foglia d’oro. Tra l’altro, Kanazawa ne è la maggiore produttrice dell’intero Giappone, fornendo da sola il 95% dell’intera produzione nazionale. Quindi è quasi sicuro che in ogni tempio del Giappone le decorazioni in foglia d’oro provengano, almeno in parte, da Kanazawa. Per produrre una foglia d’oro, gli artigiani partono da un pezzo di oro delle dimensioni di una moneta. Questo pezzo d’oro viene poi sapientemente martellato fino a quando non ha raggiunto uno spessore di 0,0001 millimetri. Ma non è tutto: infatti, una volta raggiunto questo spessore, il pezzo d’oro di partenza è diventato di dimensioni imponenti (ben 92 x 182 cm), per cui dopo viene tagliato in quadrati di circa dieci centimetri e usato per ricoprire qualunque tipo di oggetto si desideri. I trucioli d’oro, scarti del processo di rivestimento, vengono raccolti e venduti per decorare alimenti e bevande. Ad esempio, nel laboratorio da noi visitato, i trucioli venivano lasciati cadere in minuscole quantità in un bicchiere di vino bianco. I tamarri arricchiti si staranno già fregando le mani alla prospettiva.
Il giorno dopo andiamo a visitare il parco Kenrokuen, che circonda il castello di Kanazawa. Il castello è una ricostruzione recente, dato che dell’antico maniero erano rimasti solo la porta monumentale ed i bastioni, per cui ci siamo limitati ad una rapida occhiata. Il parco, invece, lascia senza parole. Infatti, esso rispetta tutte le sei caratteristiche richieste dall’antico libro cinese dei giardini, ovvero l’ampiezza, la riservatezza, l’antichità, la mano dell’uomo, l’acqua e i panorami. Lo stesso nome, Kenrokuen, significa letteralmente “combinazione di sei elementi”. In virtù di questo, il parco è considerato uno dei tre giardini più belli dell’intero Giappone. Percorrerlo da un capo all’altro per ore, nonostante una fitta pioggia, è stata un’esperienza unica: il senso di pace e serenità che quel luogo emanava è impossibile da descrivere.
Finita la visita del parco, è il momento di ripartire: il viaggio continua verso Takayama, città di montagne e celebri falegnami. È noto infatti che molti falegnami che lavorarono alla costruzione del palazzo imperiale di Kyoto erano originari proprio di qui. Il nostro alloggio qui è un ryokan, ossia una locanda tradizionale giapponese. Nonostante da qui passino molti turisti occidentali, il ryokan ha le dimensioni delle stanze tarate sulle misure giapponesi. Non avendoci fatto caso, abbiamo provveduto a lasciare un segno del nostro passaggio timbrando lo stipite della porta con una testata. Però, al netto dell’inconveniente la sistemazione è stata molto gradevole. Un filino stretta, ma gradevole. Takayama, come Kanazawa, ha mantenuto parte del suo centro storico – fatto di basse case in legno – che ospita negozietti di artigianato locale e diverse fabbriche di saké, purtroppo chiuse al pubblico tranne in limitati periodi (indovinate in quale siamo andati a capitare?).
La visita della città, che sembra piccola ma conta la bellezza di 92.000 abitanti, si prende tutto quello che rimane del pomeriggio. Il futon del ryokan è uno dei più scomodi dell’intero viaggio, ma dopo la scarpinata del giorno anche una pietraia andrebbe bene, purché abbia un cuscino.
La mattina dopo ci si sveglia di buon ora, visto che si deve ripartire per Tokyo, dove trascorreremo gli ultimi tre giorni del nostro viaggio. Affamati, entriamo nella sala della colazione, dove ci aspetta una colazione “occidentale” che leggete e tremate: una specie di frittata con ketchup, anguilla arrostita, pane (parecchio) tostato, caffè lunghissimo, prosciutto, insalata, marmellata, un panino microscopico e, dulcis in fundo, una zuppa di cipolle che bolliva allegramente su un braciere al nostro tavolo. La cameriera, una signora sulla sessantina, ha provato a convincerci ad assaggiare la zuppa (ben tre tentativi) spergiurando sulla sua bontà, però ha miseramente fallito. Inutile dire che, anche questa volta, il combinì ci ha salvato dalla morte per fame.
Finalmente si va a prendere il treno: è ora di tornare a Tokyo, e bisogna salutare degnamente il Giappone.
Fine quarta puntata.
Lorenzo Spizzirri