La vita della comunità scolastica si basa sulla libertà di espressione, di pensiero, di coscienza e di religione, sul rispetto reciproco di tutte le persone che la compongono, quale che sia la loro età e condizione, nel ripudio di ogni barriera ideologica, sociale e culturale.
Quello sopra riportato è l’articolo 4 dello “Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria“, con il Decreto del Presidente della Repubblica (DPR n. 249/1998).
Negli ultimi giorni si è tornato a parlare della possibilità, nelle scuole e università, di utilizzare un nome diverso da quello assegnato all’anagrafe. Si tratta dell’uso del “nome d’elezione”: questo strumento viene infatti messo a disposizione, su base discrezionale della singola istituzione, per le persone transessuali.
L’opportunità viene data a partire dalla lunghezza e macchinosità del percorso per il cambio di sesso, che deve rispettare determinati step anche a livello burocratico.
Alcuni chiarimenti: sesso e genere
La messa in dubbio dell’identità di genere è la presa di coscienza del fatto che questa non coincide col sesso biologico assegnato alla nascita. Sesso e genere sono due termini che indicano due concetti diversi, ma in molti casi sono ancora usati come sinonimi.
Il sesso viene determinato biologicamente alla nascita e può quindi essere maschile o femminile. Il genere invece è un concetto più complicato: si tratta della percezione che una persona ha di sé. É possibile, infatti, che una persona assegnata femmina alla nascita non senta propria quell’assegnazione, riconoscendosi invece come maschio.
Se si considerano interscambiabili, non si vedono quindi i due piani – biologico e personale/identitario – da tenere in considerazione. L’automatismo nell’assegnare sesso e genere a partire solo dalle evidenze biologiche (organi genitali esterni) è caratteristica anche del nostro ambiente sociale. Esistono infatti costrutti edificati sopra il sesso biologico: i cosiddetti “ruoli di genere”. Questo termine indica tutta una serie di processi e convinzioni che attribuiscono capacità e competenze a partire esclusivamente dal sesso. A causa di questo fattore, diventa più complicato uscire dalla concezione binaria dei sessi e riconoscere la differenza con il genere.
Una volta riconosciuta la propria disforia di genere (quando cioè sesso e genere non coincidono) è possibile avviare un percorso di transizione medico e burocratico. Si tratta di un iter che chiama in causa medici, psicologi e avvocati, che si devono occupare del singolo “caso”. L’obiettivo è quello di assicurarsi della presa di posizione della persona che intende procedere alla transizione, per fornire tutti gli strumenti legali e sanitari necessari. Si tratta di percorsi spesso non semplici da affrontare, fatti di attese e cause da vincere per dimostrare la propria certezza nel voler procedere con il cammino verso il cambio di sesso.
Cos’è la carriera alias
Vista la lunghezza in cui molto spesso incorrono questi processi, istituzioni come scuole e università danno la possibilità di utilizzare il proprio nome d’elezione prima della conclusione del percorso “legale”. È infatti possibile attivare una “carriera alias”, per cui spesso si richiede un certificato psicologico della disforia di genere. Questo meccanismo permette ad esempio a persone non ancora medicalizzate (chi non ha ancora proceduto chirurgicamente alla transizione) di proseguire gli studi con l’identità scelta.
La carriera alias è quindi a discrezione del singolo istituto ed è attivabile su richiesta secondo regolamenti specifici.
Il caso del liceo Cavour di Roma
È di ieri mattina la denuncia di uno studente – con carriera alias attiva – contro un professore. L’accusa è quella di discriminazione, dal momento che il professore in questione si è rifiutato di rispettare la scelta dello studente e la normativa vigente del proprio istituto.
Dall’anno scorso infatti, il Liceo scientifico Cavour di Roma ha aperto alla possibilità della carriera alias. Nel regolamento interno si legge infatti:
Avuto riguardo alle finalità perseguite dal presente Regolamento e fatto salvo quanto previsto dal successivo articolo 5, l’identità elettiva sarà l’unica utilizzata dall’intera comunità scolastica e sarà l’unica visibile nell’ambito dei servizi didattici
Il professore, quindi, eliminando il nome d’elezione da una verifica scritta per sostituirlo con quello anagrafico, dovrebbe incorrere in provvedimenti adottati dalla stessa Dirigenza Scolastica.
Secondo le prime indiscrezioni, la linea sostenuta dal docente si basava sul fatto che avendo davanti una ragazza (sesso femminile) non era tenuto ad utilizzare il suo nome d’elezione (di genere maschile).
La posizione del professore viene riportata e sostenuta da alcuni giornali, tradizionalmente schierati contro queste battaglie che ricado nel macro-ambito dei diritti civili. Un esempio è la prima pagina de La verità dell’11 novembre, con un pezzo firmato da Giorgio Gandola. Secondo il giornalista infatti il professore deve essere difeso dal momento che aveva (e ha) davanti un donna, quindi non è tenuto ad utilizzare pronomi maschili.
Il linguaggio continua ad essere un problema (per alcuni)
Al di là del singolo caso, ci troviamo davanti all’ennesima mancanza di rispetto davanti alla possibilità di autodeterminazione data a studenti e studentesse. La carriera alias, che ad un primo sguardo può sembrare una misura inutile, è invece uno stimolo e un segnale positivo dal mondo dell’insegnamento. La possibilità che viene resa complicata dalle istituzioni statali diventa di facile accesso in quelle scolastiche ed universitarie (esiste anche una lista di Atenei). Negli anni delicati della formazione scolastica e personale viene quindi permessa un’affermazione della propria identità, in un contesto (che dovrebbe essere) sicuro e rispettoso. La scuola viene così pensata come spazio di libertà e ricerca della propria persona e personalità, anche e soprattutto a partire da atti apparentemente banali come il “cambio” di nome.
Scegliere di non rispettare la decisione dello studente o studentessa costituisce quindi una violenza e una violazione dei suoi diritti.
Da un certo tipo di retorica conservatrice si sente spesso prendere di mira il linguaggio che si sta via via adottando per trattare queste questioni. Il ritornello, infatti, è quello secondo cui istanze come la carriera alias passano in secondo piano, a favore di ciò che si vede “esternamente”. Scegliere cioè di approcciarsi ad una persona non a partire da come lei si sente e si percepisce, ma da come noi la vediamo.
Il non riconoscere la posizione dell’altra persona rispetto al proprio genere per far prevalere un altro tipo l’opinione è ennesima discriminazione. Come giustamente afferma lo studente del Cavour.