Questo 19 ottobre Carlo Urbani avrebbe compiuto 64 anni. Il medico e microbiologo fu colui che classificò per primo la SARS, un’epidemia simile a quella di Covid-19. La SARS causò la morte di 774 persone, compreso lo stesso Urbani.
Chi era Carlo Urbani?
Carlo Urbani era un medico, laureatosi all’Università di Ancona e poi specializzatosi in malattie infettive a Messina. Allo studio universitario associava le attività di volontariato con Mani Tese e Unitalsi. Con la prima, in particolare, partecipava alla raccolta di medicinali per l’Africa e ai campi di lavoro, oltre ad organizzare i campi estivi per ragazzi con disabilità.
Nel 1996 entrò in Medici Senza Frontiere, con il compito di controllare le malattie endemiche parassitarie in Cambogia. Questo lo ha portato a cosiddetti “viaggi sul terreno” , in cui insegnava alla popolazione locale come curare le infezioni e come proteggersi dalla malattie. Nonostante la scorta, necessaria per la minaccia dei Khmer rossi (i responsabili del genocidio cambogiano), Carlo non si tirò indietro.
Nel 1999 Carlo Urbani divenne il presidente della sezione italiana di Medici Senza Frontiere, ritirando anche il Premio Nobel per la Pace a nome dell’ONG.
L’OMS, nel 2000, gli affidò un incarico in Vietnam, dove restò per tre anni, di controllo delle malattie parassitarie nel Pacifico occidentale.
Carlo Urbani e la SARS
La vita di Urbani cambiò il 28 febbraio del 2000: contattato dall’ospedale di Hanoi, gli venne chiesto il parere su Johnny Chen, un uomo d’affari americano con una strana polmonite. Non se lo fece ripetere due volte: raggiunse l’ospedale e si rese conto di trovarsi di fronte a una nuova, pericolosa malattia. Era la SARS.
Allertò il governo e l’OMS, riuscendo a far implementare misure di quarantena nel paese. Grazie a lui, il Vietnam fu il primo paese ad aver sconfitto la SARS.
Se grazie a lui tantissime vite sono state salvate, per Urbani era troppo tardi: l’11 marzo, su un volo da Hanoi a Bangkok, si rese conto di aver contatto la SARS. All’arrivo si fece ricoverare e mettere in quarantena, dando indicazioni ai medici francesi e tedeschi su come prendere tessuti dei suoi polmoni e come usarli per la ricerca.
Carlo Urbani morì, dopo 19 giorni di isolamento, il 29 marzo 2003, lasciando la moglie Giuliana e tre figli.
L’eredità di Carlo
Se ad oggi riusciamo a combattere il coronavirus con misure di quarantena e di prevenzione, lo dobbiamo anche a Carlo Urbani: il suo metodo per il controllo delle pandemie è tuttora uno dei protocolli internazionali cui l’OMS fa riferimento.
Oltre all’eredità dal punto di vista scientifico, ben evidente in tempi come quelli attuali, ciò che ci lascia Carlo Urbani è soprattutto un messaggio di dedizione verso l’altro, verso la ricerca e la scienza. La vita del medico italiano è stata segnata da un grande amore per il prossimo, anche in situazioni di immenso pericolo, sia militare in Cambogia che sanitario in Vietnam.
Carlo Urbani è stato un eroe che non si è mai tirato indietro. Ha messo a rischio la sua vita per poter risparmiare quella di migliaia di persone che non ha mai avuto modo di conoscere.
L’altruismo e la cura verso l’altro che Urbani aveva sin quando, da volontario, raccoglieva medicinali per l’Africa, erano presenti anche nei suoi ultimi 19 giorni di vita, con le indicazioni su come utilizzare il suo corpo per la ricerca.
Questa dedizione è un qualcosa da cui prendere esempio, da ricordare.
Il messaggio di Carlo Urbani è quello di fermarsi in quei posti dove nessuno si ferma, aiutare quelli che nessuno aiuta, correre i rischi che nessuno correrebbe. In nome dell’altro.
Quando aiutiamo il prossimo e ci chiedono: `Perché lo hai fatto?` , Carlo ci insegna come rispondere: `L’ho fatto per gli altri`.
Giulia Terralavoro