Carl Gustav Jung: l’erede ribelle di Sigmund Freud

Il 6 giugno del 1961 si spegneva una delle menti più illuminate e illuminanti della storia recente. Stiamo parlando di Carl Gustav Jung, fondatore della psicologia analitica, detta anche psicologia complessa o del profondo. La sua persona e la sua fortuna sono legate a quelle di Sigmund Freud, il celeberrimo austriaco padre della psicoanalisi.

L’inconscio non è soltanto male, ma è anche la sorgente del bene più alto; non è solo buio ma anche luce, non solo bestiale, semi-umano, demoniaco, ma sovrumano, spirituale e, nel senso classico del termine, “divino“.

-Carl Gustav Jung

Eredità e ribellione

A partire dal 1907, Sigmund Freud e Carl Gustav Jung strinsero un forte legame, a un tempo professionale e umano. Gli studi di Jung e la sua passione per la giovane teoria psicoanalitica fecero credere a Freud di aver trovato un valido erede. Qualcuno in grado di portare avanti la sua opera, permettendole di avere un riconoscimento internazionale.

Ma la dura realtà era dietro l’angolo, pronta a rovinare i suoi piani. Infatti, col passare del tempo, le loro divergenze (non solo teoriche) divennero via via incolmabili. Per Freud l’inconscio era la sede del rimosso, di tutto ciò che era inaccettabile per la coscienza. E la libido, cioè l’energia psichica dell’inconscio, consisteva di pulsioni primitive e istintuali legate innanzitutto al sesso, ma anche alla violenza e alla morte.

Jung e Freud
A sinistra Sigmund Freud, a destra Carl Gustav Jung

A differenza di Freud, Jung vedeva la libido come pura energia psichica, tanto distruttiva quanto creativa. Inoltre, non considerava l’inconscio alla stregua di un oscuro sgabuzzino in cui gettare tutte le esperienze negative e traumatiche. Al contrario, per Jung esso rappresentava il centro e la sorgente di tutta l’attività psichica.

Questi erano i punti nevralgici delle loro divergenze teoriche. Il reiterato rifiuto di prendere in considerazione le ipotesi di Jung portò infine alla rottura definitiva. Così, dopo un percorso di approfondimento personale e di differenziazione concettuale dal maestro austriaco, nel 1913, Carl Gustav Jung si rese indipendente dalla psicanalisi freudiana e diede vita alla psicologia analitica.

“La mia vita è la storia di un’autorealizzazione dell’inconscio.”

 

La psicoanalisi “classica” si concentra sulla cura del paziente, agendo sul singolo disturbo psichico. Lo scopo è quello di portare alla coscienza il trauma che soggiace alla patologia. Una volta scoperta la radice inconscia del problema, questo sarà destinato a risolversi. Per Jung la questione è più complessa e non si limita al singolo evento traumatico che scatena la patologia. La psicologia analitica non mira solamente alla guarigione del paziente, ma punta alla crescita e all’autorealizzazione dell’individuo. E a tal fine è necessario un dialogo continuo con il proprio inconscio e con i suoi abitanti.

La struttura della personalità

Jung vede la psiche come un teatro, all’interno del quale recitano diversi attori. I principali sono l’Io, il Sé, la Persona, l’Ombra, l’Animus e l’Anima. Le interazioni e la dialettica tra i vari attori (insieme ad altri fattori) determinano la personalità del soggetto.

L’Io corrisponde alla coscienza, mentre il costituisce la parte più profonda e vera dell’individuo, il nucleo primordiale attorno al quale ruotano tutti gli altri complessi psichici. La Persona non è l’Io, ma la sua maschera, il suo riflesso nello specchio degli altri e della società. Essa rappresenta la personalità pubblica del soggetto, con i suoi ruoli, i suoi doveri e le aspettative altrui a riguardo. L’Ombra incarna il lato ferino dell’uomo, con i suoi istinti più atavici e primordiali. Infine vi sono l’Animus e l’Anima. Il primo corrisponde alla componente maschile nella psiche femminile. Il secondo invece rappresenta l’elemento femminile nella psiche maschile.

Gli altri fattori che influenzano la personalità del soggetto sono principalmente due. Il primo è l’orientamento della libido, che contraddistingue due tipi psicologici: l’introverso quando è rivolta verso l’interno e l’estroverso quando è rivolta verso l’esterno. Il secondo è la predisposizione del singolo verso una delle quattro funzioni psicologiche essenziali, che sono: pensiero, sentimento, sensazione e intuizione.

 

Inconscio collettivo e Archetipi

Molti aspetti della personalità risultano indissolubilmente legati all’inconscio. Ogni attore della psiche affonda le sue radici in questo terreno, compreso l’Io. Secondo Jung infatti, la coscienza nasce dall’inconscio e attinge le sue energie soprattutto da qui. Oltre all’inconscio personale e privato del singolo, Jung postula l’esistenza di un inconscio collettivo. Quest’ultimo corrisponde alla matrice psichica primordiale che accomuna tutti gli esseri umani. Come un grande museo, esso ospita le tracce del nostro passato. L’inconscio collettivo è il residuo psichico dell’evoluzione umana, accumulatosi in seguito alle reiterate esperienze di innumerevoli generazioni.

Al suo interno vivono figure, immagini e simboli molto potenti. La maggior parte di questi è presente anche nelle mitologie e nelle religioni. Jung denominò tali oggetti psichici dell’inconscio collettivo archetipi. La loro presenza è attestata, in forme diverse, in tutte le popolazioni di tutte le epoche. Il loro potere deriva proprio dalla loro natura primordiale. Gli archetipi sono delle forme universali della psiche, dotate di contenuto affettivo. Vi sono ad esempio l’archetipo del Vecchio Saggio, quello della Grande Madre o quello del Puer (il ragazzo). Tutti gli archetipi vivono nell’inconscio collettivo e interagiscono con la psiche individuale, ispirando visioni, comportamenti e tanto altro.

 

Il processo di individuazione

Divieni ciò che sei“, disse una volta un grande filosofo. Possiamo dire con certezza che Carl Gustav Jung fosse d’accordo con questa massima. Secondo lui, lo scopo della nostra esistenza è l’autorealizzazione. Per raggiungere la quale bisogna attraversare il processo di individuazione. È questo il cardine della psicanalisi junghiana. Sviluppare la propria personalità, ricongiungersi con il proprio Sé, è questo il fine dell’esistenza. Ma per fare ciò è necessario un continuo dialogo con se stessi e con i propri abissi. Solo così possiamo raggiungere la nostra vera essenza e vivere in maniera completa, felice.

Oggigiorno tutto ciò risulta tanto più complicato quanto più ci ritroviamo alla mercé degli infiniti stimoli esterni che lottano per accaparrarsi le briciole della nostra (limitata) attenzione. Qualcuno parla di una tragedia, la tragedia del sé. Ma anche se di tragedia si parla, non vanifichiamo quanto è già stato. Iniziamo ad apprendere seriamente dai nostri errori e da quelli degli altri. Solo così potremo metterci sulle tracce di noi stessi e magari, alla fine, diventare davvero ciò che siamo.

Vincenzo Rapisardi

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