Cari uomini, e noi? Lettera aperta ai maschi di un insicuro in amore
Doverosa premessa
Troppi articoli scritti da uomini per la “Giornata contro la violenza sulle donne“, e questa cosa onestamente è sospetta. Paradossalmente machista! Quindi ho pensato di scrivere da uomo agli uomini e confessare le mie sconfitte, le mie debolezze, le mie insicurezze. Cose semplici e comuni che tutti abbiamo vissuto, ma che in alcuni di noi generano rabbie accecanti e ingiustificabili violenze. Scrivo sulla responsabilità di essere uomo e su quanto può essere tanto facile quanto terrificante tramutarsi in bestia, in un “non più uomo”.
Lettera aperta ai maschi di un insicuro in amore
Cari uomini, chi vi scrive appartiene al vostro genere, ed è eterosessuale. Si lo so … nulla di eccezionale e, oltretutto, fuori moda.
Il sottoscritto, dunque, come la maggior parte di voi, ha vissuto, vive o vivrà relazioni più o meno lunghe, più o meno intense, importanti o deludenti.
Ammetto, non senza un senso di forte disagio, che ho poca autostima, quindi temo sempre – nel vivere una relazione – di essere inadeguato, non all’altezza o, peggio ancora, di trasmettere questa mia insicurezza all’altra persona attraverso pessimi strumenti come la possessività o la gelosia.
Col tempo ho imparato cose semplici ed essenziali: innanzitutto che solo i cornuti dicono in giro di non esser mai stati traditi e che il solo scopo del mio “amare” è lasciare che l’altro resti sempre sé stesso … a costo di perderlo.
A volte addirittura esagero, e a mie spese. Mi spiego meglio: tendo a non farmi coinvolgere da facili entusiasmi, metto in atto delle resistenze attraverso diffidenze e distanze che credo pesino non poco a chi ha avuto la pessima idea di frequentarmi. Spesso per non invadere l’individualità dell’altra persona posso “apparire” per nulla geloso o, peggio ancora, distaccato. Per carità, non mancano rispetto, attenzioni e accudimento, ma resta sempre un solido e quasi sempre “inespugnabile” muro che non rende mai completa e pienamente vissuta una relazione. E, credetemi, questa barriera, mette quasi sempre a “fallimentare prova” le persone che ho amato, anche le più pazienti.
Questa consapevolezza mi aiuta casomai a smorzare i rimpianti, ma non mi impedisce di arrovellarmi su ciò che ho vissuto, di soffrirne e di chiedermi cosa sarebbe successo se quel muro lo avessi abbattuto.
Tutti rimuginiamo e chi – come me – non dà mai nulla per scontato (anche nel vivo di un rapporto), ha sempre molto da pensare e valutare una volta che qualcosa si è chiuso. Ma spesso i pensieri degenerano e creano veri e propri mostri.
Anche io costruisco mostri – come chiunque – rendendo, però, dolorosamente strategiche le mie insicurezze. Mi eclisso (davvero scompaio anche se a fatica) e immagino con estrema facilità di essere facilmente sostituibile, che chiunque altro è e sarà migliore di me. Ognuno lavora con quello che ha e io plasmo quel poco che possiedo, il mio sentirmi sempre inadeguato!
Quasi mi impongo questa dolorosa visione per generare distanza, penso al peggio del peggio per la mia autostima proprio per non aspettarmi nulla e dichiarare forzosamente chiuso il tutto. Poi, casomai, il cuore resta speranzoso, ma quest’ultimo è in impari lotta con una razionalità ben esercitata e portata agli estremi, una razionalizzazione che pian pianino, avrà di certo la meglio. Il tempo e la distanza non guariscono, fanno dimenticare, e non è esattamente la stessa cosa.
Lo so, il mio è un gioco al massacro, ma è un gioco mio … l’altro è lontano e fa la sua vita e, per quanto possano attraversarmi dolorosi pensieri sul suo sacrosanto e inevitabile vivere senza me, non mi passa neanche per l’anticamera del cervello di “seguire”, “stolkerare” o intimidire in qualsiasi modo. Evito dunque fissarmi su questi pensieri per generare tensioni.
Il tempo, la maturità e l’esperienza saranno pur serviti a qualcosa, no? Non si può restare ragazzini in preda ai fumi ormonali per sempre e continuare “patologicamente” a credere che l’altra persona sia una nostra esclusiva, o peggio, una proprietà.
Anzi, vi do’ un notizione: chi ci ama lo fa perché sceglie di farlo… e se il buon Dio arride a questo incontro l’altra persona non sarà mai “nostra”, ma qualcuno che ogni giorno sceglie con la sua testa e il suo amore di condividere, un assolutamente altro che offre questa infinita e irrisolvibile alterità a noi. Non esistono imposizioni, volontà di cambiare l’altro, ma solo il profondo e semplice esercizio di lasciare che sia. Questo sì che è amore.
Se poi finisce a carte quarantotto- e capita-, credo sia essenziale comunicare i propri sentimenti: dire che si è amato e che veramente hai voluto bene. Basta questo. Potrà sembrare inutile, potrà non portare a nulla, ma solo questo è in nostro potere, oltre non è concesso andare.
Rabbie e rancori ci saranno (restiamo pur sempre poveri esseri umani), ma questi sono frutti avvelenati della sofferenza e dell’assenza, non certo dell’amore. Ma spesso è proprio la comunicazione a mancare; vuoi perché non ne siamo capaci o non ci siamo abituati, o perché siamo rovinosamente orgogliosi, ma comunque la mettiamo è proprio lo strumento più ovvio ed efficace per comprendersi a restare, quasi sempre, totalmente inutilizzato.
Quindi io, prima, durante e dopo, ho questo muro alzato verso l’altro. Non sono un tipo facile e ammetto che mi innamoro con estrema difficoltà, ma se accade, accade, e per me è una vera tragedia. Tendo a sabotare, a rovinare tutto, perché come scrive Shakespeare: “Quando amiamo al meglio, spesso roviniamo ciò che è bene.” Quindi sono perlopiù io la causa delle mie rotture, mentre l’altro è solo qualcuno che si è avventurato tra i miei timori e che, al massimo, ha avuto la sola responsabilità di non aver avuto la pazienza di affrontarli con me. Ma come biasimare tutto questo?
Certo, incolpare l’altro dei nostri limiti è una facile soluzione: seminare colpe e rancori al di fuori di noi ci alleggerisce e giustifica, fino a credere persino di essere povere vittime dell’altro, ed è a quel punto che ci sentiamo autorizzati a denigrare, ad offendere o, se siamo dei cavernicoli senza un minimo di rispetto e decenza , addirittura capaci di compiere atti ancora peggiori.
E’ molto facile diventare carnefici stravolgendo tutto per convincerci essere le inconsolabili vittime di un abbandono, di un atteggiamento indifferente, di un’accusa … in fondo conviene, no? A quel punto non è più colpa nostra, è l’altro che ci ha istigato, offeso e abbandonato. È l’altro che non ha capito quanto ci teniamo, e se non lo capisce con le buone, beh allora a mali estremi … estremi rimedi.
Nessuna violenza è accettabile, nessun raptus è giustificabile, eppure in alcuni di noi emerge una sorta di atavica e criminale legittimazione. Un “non pensare” che acceca e ci rende molto più che irrazionali, ma dei veri e propri animali! Delle bestie senza scrupoli pronte usare violenza su chi – in passato – con un gesto di solo amore, ha affidato al nostro affetto non solo il suo cuore ma il suo corpo, la sua sicurezza, i suoi sguardi, la sua straordinaria vita.
E’ fatta! A questo punto solo il silenzio e il dolore restano: un solo gesto di violenza, il minimo e impercettibile atto di prepotenza, condannerà l’altro solo alla nuda paura di noi (che straordinaria conquista!), al quotidiano terrore che quell’abominevole gesto si ripeta. Si è instaurato un terrificante e criminale legame di violenza che ha svuotato ogni altra cosa di qualsiasi significato, lasciando solo terrificanti tracce di dolore e prepotenza su quel corpo che si fidava del nostro amore. Ed è in questo istante che abbiamo perso tutto, ogni cosa … compresa l’umanità. Da feroci bestie, quali siamo diventati, assoggettiamo l’altro attraverso le paure che instilliamo. Non abbiamo più dignità, decenza, umanità … da quel punto in poi (un punto di non ritorno) … non saremo mai più uomini.
Cari uomini, e noi? Lettera aperta ai maschi di un insicuro in amore
fonte foto 3.bp.blogspot.com
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