La Cargill, una delle aziende alimentari più grandi al mondo, è stata denunciata per aver ignorato questioni riguardanti la deforestazione e la violazione dei diritti umani legati alla sua catena di approvvigionamento della soia in Brasile. Ad accusare la multinazionale statunitense è l’organizzazione di diritto ambientale ClientEarth
La Cargill finisce in tribunale. L’azienda multinazionale statunitense che rappresenta il più grande commerciante di cereali al mondo è stata denunciata dal gruppo ambientalista ClientEarth per non aver rispettato i doveri di due diligence, ovvero della dovuta diligenza, cui era tenuta, sia in riferimento alla deforestazione che alla tutela dei diritti umani. In particolare, l’organizzazione legale ambientalista accusa l’azienda di monitoraggio inadeguato e di aver chiuso un occhio sulla deforestazione e sulla violazione dei diritti umani della sua catena dirifornimento di soia in Brasile. Comportamento che va completamente nella direzione opposta rispetto allo slogan del colosso dei cereali statunitense, che recita: “Cargill si impegna a far prosperare il mondo”. Quindi, nonostante la Cargill si sia impegnata a porre fine alle deforestazioni dalle sue catene di approvvigionamento entro il 2030, sembrerebbe al momento non perseguire nel migliore dei modi questo obiettivo, e, ancor peggio, violare il codice internazionale sulla condotta aziendale responsabile.
Cargill finisce in tribunale: l’accusa
Le accuse provengono da ClientEarth, organizzazione ambientalista che in un recente comunicato stampa evidenzia come in realtà la Cargill non stia monitorando adeguatamente la sua filiera della soia. Più precisamente, ClientErth, sottolineando come la scadente due diligence di Cargill aumenta il rischio che la carne venduta nei supermercati di tutto il mondo sia allevata con la cosiddetta soia “sporca”, ha comunicato che: “In qualità di uno dei più grandi commercianti di soia che si riforniscono dal Brasile, Cargill dovrebbe attuare la migliore pratica mondiale per impedire che la soia legata alla deforestazione e alle violazioni dei diritti umani invada il mercato alimentare globale”. L’avvocato di ClientEarth Laura Dowley ha evidenziato inoltre come questo rappresenti un problema di estrema importanza, in quanto l’azienda starebbe guidando “le violazioni dei diritti delle comunità indigene, afro-brasiliane e di altre comunità dipendenti dalle foreste” essendo colpevole della “distruzione ambientale negli ecosistemi vulnerabili del Brasile”. Ad essere le vittime principali sono la foresta pluviale amazzonica, la foresta atlantica e la savana del Cerrado. L’organizzazione ha infatti precisato che i numerosi disboscamenti legati all’agricoltura stanno portando la situazione dell’Amazzonia verso un punto di non ritorno. In tal caso la foresta pluviale si trasformerebbe in una “prateria secca” ed emetterebbe “grandi quantità di anidride carbonica”, aggiungendosi alla “quasi metà del Cerrado” già “andata perduta”.
Molte zone d’ombra
In realtà, questa non è la prima volta che la multinazionale statunitense finisce sotto i riflettori per questioni legate alla salvaguardia dell’ambiente e dei diritti umani. Nel 2020 infatti, la ONG Greenpeace, assieme al Bereau of Investigative Journalism, ha pubblicato un’inchiesta in cui definiva la Cargill come “l’azienda che nutre il mondo aiutando a distruggere il Pianeta”. Nello stesso anno viene pubblicato un rapporto dal Guardian che rivelava che Cargill forniva colossi dell’agroalimentare e catene di fast food (Tesco, McDonald’s, Nando’s ed altri) polli nutriti con soia importata, connessa a migliaia di incendi boschivi ed almeno 777 chilometri quadrati di disboscamento di alberi nella savana del Cerrado. Andando ancora più indietro nel tempo si può notare come le zone d’ombra sulla condotta dell’azienda alimentare siano sempre esistite. Nel 2005 infatti, Cargill era anche stata accusata di aver favorito la schiavitù infantile nell’Africa occidentale in quanto 6 coltivatori sostenevano di essere stati trafficati da bambini per essere sfruttati nelle piantagioni in Costa d’Avorio.
La risposta dell’azienda
Il Guardian ancora una volta ha deciso di interessarsi direttamente della questione. Un portavoce della Cargill ha riferito ai giornalisti che la multinazionale non ha visto l’intero reclamo, ciononostante egli ha sottolineato quanto sia “fortemente impegnata” nella salvaguardia degli ecosistemi vulnerabili e nella protezione dei diritti umani nelle sue operazioni, nelle catene di approvvigionamento e nelle comunità. In particolare, i dirigenti di Cargill hanno dichiarato:
“Non ci riforniamo di soia da agricoltori che bonificano terreni in aree protette e disponiamo di controlli per impedire che prodotti non conformi entrino nelle nostre catene di approvvigionamento”, aggiungendo: “Se rileviamo violazioni delle nostre politiche, agiamo immediatamente in conformità con il nostro processo di reclamo”.
Simone Acquaviva