Nel 50% dei detenuti nelle carceri italiane si riscontra la presenza di una malattia o di un disturbo mentale, mentre aumenta la tubercolosi: sono questi i dati che emergono dal XX congresso nazionale SIMSPE – Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria, Agorà Penitenziaria 2019. L’appuntamento s’intitola “Il carcere è territorio” ed è organizzato in collaborazione con Regione Lombardia e SIMIT – Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali.
Presieduto da Roberto Ranieri, Coordinatore Sanità Penitenziaria Regione Lombardia, è un momento di confronto fra i vari e diversi attori che si occupano di sanità nelle carceri. Il segretario generale del sindacato della penitenziaria Aldo Di Giacomo si è associato all’appello dei circa 200 specialisti provenienti da tutta Italia, i quali chiedono un piano straordinario di prevenzione delle malattie infettive che coinvolga il personale di servizio.
I medici si sono confrontati sui numeri: il 25% dei detenuti soffre di una dipendenza da sostanza psicoattiva. Un problema che occupa il primo posto tra i tipi di disturbo (23,6%), seguito da disturbi nevrotici e reazioni di adattamento (17,3%), disturbi alcol correlati (5,6%), disturbi affettivi psicotici (2,7%), disturbi della personalità e del comportamento (1,6%).
“Si stima che gli HIV positivi siano circa 5.000, mentre intorno ai 6.500 i portatori attivi del virus dell’epatite B. Tra il 25 e il 35% dei detenuti nelle carceri italiane sono affetti da epatite C: si tratta di una forbice compresa tra i 25.000 e i 35.000 detenuti all’anno”, ha dichiarato Di Giacomo. “Risulta poi dai dati ufficiali del Ministero della Giustizia che un terzo della popolazione sia straniera e, con il collasso di sistemi sanitari esteri, si riscontrano nelle carceri tassi di tubercolosi latente molto più alti rispetto alla popolazione generale”.
Una situazione a rischio che richiederebbe controlli estesi
Fra i non italiani, infatti, ne è affetto circa il 50% dei casi: un detenuto su due. “Se in Italia tra la popolazione generale si stima un tasso di tubercolosi latenti, cioè di portatori non malati, pari al 1-2%, nelle strutture penitenziarie sono stati rilevati il 25- 30%, che aumentano ad oltre il 50% se consideriamo solo la popolazione straniera”, spiega il segretario del S.PP.
Una situazione che implica maggiore circolazione del bacillo tubercolare negli istituti, con l’elevato rischio che si sviluppino ceppi multi-resistenti e un conseguente aumento della mortalità nei pazienti: la contaminazione potrebbe allora esondare dalle carceri stesse. Condizioni quindi che richiederebbero controlli estesi, secondo i medici, e che come denuncia il sindacato non consentono di circoscrivere l’attenzione alla salute dei detenuti, ma imporrebbero prevenzione e assistenza anche per il personale penitenziario.
Il sindacato ha fatto sapere che intende rivolgersi al Ministero della Giustizia, affinché istituisca una “indennità rischio salute” per chi lavora nelle carceri.
Camillo Maffia