Carcere per i giornalisti: così muore la democrazia

Carcere per i giornalisti Querele bavaglio

Negli stessi giorni in cui i giornalisti Rai si rivoltano contro le nuove regole del par condicio, alcuni deputati rilanciano l’introduzione della pena detentiva per i giornalisti. Il tema divide la politica e preoccupa il futuro di stampa e democrazia

Carcere per i giornalisti colpevoli di diffamazione, e per quelli che pubblicano informazioni provenienti da reati, in particolare accessi abusivi a sistemi informatici.
Nel frattempo, i giornalisti dei Tg Rai hanno espresso il loro dissenso verso l’emittente leggendo, a reti unificate, un comunicato contro la nuova legge sulla par condicio.

La situazione italiana è sotto l’occhio attento della comunità giornalistica internazionale e dei difensori della libertà di stampa, tanto da richiamare l’intervento del Segretario Generale della Federazione europea dei giornalisti (EFJ), Ricardo Gutiérrez.

Si tratta di una deriva orwelliana particolarmente pericolosa, che ricorda i tempi bui dell’Italia fascista. Si tratta semplicemente di criminalizzare l’esercizio del giornalismo in Italia e di imporre un’autocensura generalizzata. Il diritto di accesso alle informazioni dei cittadini italiani sarebbe completamente compromesso

Carcere per i giornalisti, Gutièrrez: “delirio liberticida”

Carcere fino a 3 anni – 4, nei casi di attribuzione di reato a innocente – e multa fino a 120mila euro per “condotte reiterate e coordinate” di “diffusione di notizie false tramite stampa”. In più, è prevista la pena accessoria dell’interdizione dalla professione di giornalista per un periodo da tre mesi a tre anni.

Nessuno ha diritto di inventarsi fatti falsi e precisi per ledere l’onore delle persone. Quello non è diritto di informazione ma orchestrata macchina del fango, che lede anche il diritto alla corretta e veritiera informazione

L’emendamento del senatore Gianni Berrino, capogruppo di FdI in Commissione, aggiunge un comma alla legge sulla diffamazione, firmata da Alberto Balboni nel 2023.
Già nel 2020, la Corte Costituzionale aveva chiesto al Parlamento di eliminare il carcere per i giornalisti (tranne per i casi di istigazione all’odio e alla violenza), in quanto in contrasto con la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU). Un anno dopo, con il caso Sallusti, nel 2021, l’Italia aveva appunto ottenuto una condanna da parte della CEDU.
In seguito a questi fatti, la Corte Costituzionale aveva dichiarato illegittimo l’art.13 della legge sulla stampa riguardante la pena detentiva per un giornalista, chiedendo nuovamente l’intervento del Parlamento.

Con il nuovo emendamento, non solo il Parlamento ha dimostrato di non voler eliminare il carcere per i giornalisti. Ma ha persino aumentato la pena prevista, aggiungendo alla legge Balboni il reato di diffusione di fake news.




Un provvedimento che ha preoccupato Ricardo Gutiérrez, Segretario Generale della EFJ, che ha parlato del rischio per l’Italia di allontanarsi dagli standard democratici europei.

Confondere diffamazione e notizie false è il culmine della perversità: lo strumento definitivo di censura che consentirà a chi è al potere di incarcerare i giornalisti che servono l’interesse pubblico denunciando gli eccessi di chi è al potere. Come principale organizzazione rappresentativa dei giornalisti in Europa, siamo sconvolti da tali proposte. Non avremmo mai pensato di arrivare a un delirio così liberticida, degno delle peggiori dittature

Con tali proposte, la maggioranza di governo italiana si autoesclude dall’Europa dei diritti umani e dall’Unione Europea

Anche la Federazione Nazionale della Stampa (FNSI) e l’Ordine dei Giornalisti, sono intervenuti.
Secondo Carlo Bartoli, Presidente dell’Ordine, “sarebbe un grave passo indietro“, e rappresenterebbe il “frutto di pulsioni autoritarie“.
Mentre Alessandra Costante, segretaria generale della FNSI, sarebbe in corso un'”orbanizzazione” del Paese.

Ancora carcere per i giornalisti: a rischio le inchieste

Insieme alla proposta di Berrino, il deputato di Azione Enrico Costa – già aspramente criticato per la “legge bavaglio” – ha presentato ben 23 nuovi emendamenti al ddl sulla cybersicurezza.
Tra questi, si parla di nuovo di carcere per i giornalisti. Stando a Costa, in difesa del fatto che il “diritto di cronaca non significa immunità

In particolare, verrebbe introdotto un nuovo reato punibile con il carcere da sei mesi a tre anni per un giornalista, o chiunque altro, che pubblichi “in tutto o in parteinformazioni acquisite tramite accessi abusivi, “conoscendone la provenienza illecita”, anche al di fuori dei casi di concorso del reato.

Una norma del genere, nata sulla scia del recente caso di “dossieraggio” che ha coinvolto il quotidiano “Domani“, condannerebbe, ad esempio, tutte le pubblicazioni realizzate da WikiLeaks. Così come tante altre inchieste che hanno fatto la Storia del giornalismo.
In virtù della libertà di stampa e del giornalismo d’inchiesta, negli USA, la celebre sentenza Bartnicki v. Vopper stabilisce che i giornalisti hanno il diritto di pubblicare notizie vere e di pubblico interesse, anche se consapevoli della loro provenienza illecita. Questo, purché il giornalista non partecipi al reato stesso.

Giornalisti Rai: “trasformati in megafono del governo”

Nel frattempo, continua la discussione intorno alla nuova legge sulla par condicio, ossia l’insieme di regole che garantisce la parità di accesso a determinati spazi nei mezzi di informazione ai vari partiti politici.

Secondo le nuove regole, introdotte dalla Commissione di Vigilanza Rai, i rappresentanti del governo di parlare nei talk senza vincoli di tempo e senza contraddittorio. In più, Rainews24 potrà trasmettere integralmente i comizi politici, senza alcuna mediazione giornalistica, preceduti solamente da una sigla. Tutto questo, secondo la maggioranza, avrebbe lo scopo di “garantire ai cittadini una puntuale informazione sulle attività istituzionali e governative“.

Ma in risposta a tale provvedimento, lo scorso 10 aprile, il sindacato dei giornalisti Rai (Usigrai) ha diffuso un comunicato letto in diretta, a reti unificate, dai conduttori di Tg1, Tg2 e Tg3.

La maggioranza di governo ha deciso di trasformare la Rai nel proprio megafono.
[…]
Questa non è la nostra idea di servizio pubblico, dove al centro c’è il lavoro delle giornaliste e dei giornalisti che fanno domande (anche scomode) verificano quanto viene detto, fanno notare incongruenze. Per questo gentili telespettatori vi informiamo che siamo pronti a mobilitarci per garantire a voi un’informazione indipendente, equilibrata e plurale

Il 12 aprile, l’Agcom è intervenuta in merito al regolamento sulla par condicio, varando la legge proposta dalla Vigilanza, ma adottando regole diverse per le emittenti private.
Inoltre, per quanto riguarda le elezioni europee, che si svolgeranno nel mese di giugno del 2024, il sistema di monitoraggio sarà più rigido, e si applicherà sia all’emittente di Stato che a quelle private.

L’Autorità, sia per i telegiornali, sia per i programmi di informazione, non si limiterà a valutare la quantità di tempo fruita dai soggetti politici nella programmazione, ma considererà le fasce orarie in cui l’esposizione dei soggetti avviene, sulla base degli ascolti registrati dall’Auditel. Inoltre, nella valutazione dei programmi di informazione, si terrà conto anche della loro periodicità.

L’Autorità interverrà tempestivamente in caso di squilibri, mirando ad assicurare un dibattito politico corretto e pluralistico e condizioni di parità di trattamento tra i soggetti partecipanti alla competizione elettorale.
L’Autorità applicherà in modo uniforme per la RAI e per le emittenti private le regole fissate dalla legge e richiamate tanto dalla delibera della Commissione di vigilanza, quanto dal proprio regolamento approvato oggi.

Sebbene l’Agcom non abbia accolto le modifiche varate dalla maggioranza di governo, il commissario dell’Organo, Antonello Giacomelli, ha specificato che: “il testo è perfettamente sovrapponibile con la delibera adottata dalla commissione di Vigilanza Rai“.
L’Usigrai si è detta soddisfatta dell’intervento dell’Agcom, seppur solo parzialmente.

Resta il rammarico per avere accolto la modifica di mandare in onda i comizi in diretta su Rainews 24 senza alcuna mediazione giornalistica

Nel frattempo, si attendono aggiornamenti sulla possibile approvazione degli emendamenti che metterebbero in serio pericolo la libertà dei giornalisti italiani, sempre più minacciati da pene e querele.

Giulia Calvani

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