Il carcerato ‘a pezzi’ e il magistrato che si dà ragione

Francesca de Carolis

Di Francesca de Carolis

 

Un po’ di pazienza, ma anche oggi sono qui a parlarvi di carcerazioni. Perché sono tante le vite che si vorrebbe lasciar morire nel nulla, ma c’è chi da quel nulla si ostina a inviare richiami, che sono sussurri, che sono urla…
E come un urlo arriva dal carcere di Opera la terribile storia di Francesco. Mi arriva con la lettera del suo compagno di cella, Alfredo Sole, che qualcosa chiede si faccia per questo suo compagno, malato “anzi direi a pezzi, letteralmente”. Perché Francesco è affetto dal morbo di Burge. Patologia terribile, incurabile. Le arterie si atrofizzano, si seccano fino a morire. E piano piano si perdono parti del corpo, che la malattia porta alla necrosi. Prima le estremità, poi gli arti, su su fino ad attaccare gli organi interni e morirne. A Francesco è già stato amputato un pezzo di piede. Nulla da fare per lui se non cercare di rallentare il percorso di una malattia senza scampo.

Francesco è stato arrestato quando aveva poco più di diciotto anni, nel 1991. In carcere ne ha già passati ventisei, di anni. Ha fatto richiesta di arresti ospedalieri o domiciliari, per provare una cura sperimentale. Per illudersi di potersi curare… Ma la richiesta è stata respinta dal magistrato di sorveglianza, ed è stato respinto anche il ricorso che contro questa decisione Francesco ha fatto al Tribunale di sorveglianza . La motivazione, “come da prassi”: persona “pericolosa e evidente pericolo di fuga”.
Già, perché Francesco ha compiuto gravi reati quando non era ancora maggiorenne. Ma, faccio miei l’interrogativo e la riflessione del suo compagno di cella: “per stabilire se una persona è pericolosa o no, cosa bisognerebbe valutare?

Se oggi quella persona è costretta a stare a letto perché privo di una parte del suo arto inferiore, per una patologia che lo porterà a perdere altri pezzi, poi alla morte certa, se quella persona è stata arrestata per reati che risalgono a quando aveva diciassette anni, e ha passato in carcere molto più degli anni della sua vita libera, come si stabilisce che è pericolosa?”
Ma semplice… “La solita novella…, se si commettono reati gravi, nonostante sia passato più di un quarto di secolo, bisogna continuare a giudicare quella persona attraverso la vecchia documentazione e non certo attraverso un’analisi della persona che è oggi”.

Insomma nulla, proprio nulla sembra si guardi a quello che nel frattempo, in questi ventisei anni, ne è stato di Francesco… Cosa abbia fatto, che so… se abbia seguito percorsi rieducativi, se li abbia rifiutati, se preghi, se maledica ogni giorno quella sua vita, se e quanto possa correre per fuggire via con quella malattia che se lo sta mangiando vivo… Nulla di nulla. Insomma Francesco è stato cattivo, cattivissimo, e questo non può che essere per sempre!
Anzi, cattivo lo è forse diventato di più. “Non può non evidenziarsi come l’atteggiamento di rifiuto di smettere di fumare posto in essere dal condannato, comporti conseguenze gravissime per la patologia dalla quale il medesimo risulta affetto”. Insomma, quel delinquente che a 17 anni si era già bruciato il cervello con l’eroina, fuma, fuma troppo… aggravando la malattia!
Che il cammino verso la morte non venga affrettata dall’insana abitudine del fumo…

Alfredo Sole scrive una serie di riflessioni che provano a “smontare” una a una le motivazioni del Tribunale, e varrebbe la pena di pubblicare tutte… Ve ne riporto ancora un brano, che tocca un aspetto che chissà se il giudice abbia solo sfiorato…
Provate a pensare questo, scrive guardando il suo compagno di cella nel quale prova a immedesimarsi…: “Mi trovo in carcere da quando ero un ragazzino, non ho visto nulla della vita, non ne ho avuto il tempo, sono affetto da una malattia incurabile che mi porterà alla morte. (…) e la mia sarà una morte lenta e durante questa lentezza perderò pezzi del mio corpo. Nonostante di me non resti ormai che l’ombra di quel che ero, non vogliono nemmeno darmi la possibilità di andare a morire a casa… Non sono sposato, non ho figli. Non ho nulla che possa dire: questo è mio! Mi rimangono solo i miei anziani genitori e il rimpianto di una gioventù bruciata!”.

La vita di Francesco si svolge ormai da tempo fra il letto e un virtuale piccolo corridoio che lo porti in bagno, e a volte neanche questo. “La sua mente è distrutta, così come il suo corpo e il suo spirito. L’uso prolungato di psicofarmaci lo ha portato ad annullare non solo il tempo che scorre, ma anche se stesso. Non ne può più fare a meno… Droghe potenti che lo Stato spaccia dentro le carceri e sono legali!
Però gli si punta il dito, anche nei rigetti, che da libero, da giovanissimo, ha fatto uso di droghe pesanti… ma quelle sono illegali… Questa persona è un guscio vuoto, che all’esterno dimostra l’età che ha, ma nel suo interno è rimasto il ragazzino che hanno arrestato. Ha fermato il tempo con gli psicofarmaci e con esso la possibilità di maturare e forse di comprendere appieno la gravità della sua malattia. Sa che dovrà morire, ma lo comprende veramente?”

Gli psicofarmaci. E’ l’unica cosa che in carcere non manca mai, mi disse una volta una volontaria. E “terrificante” definisce Alfredo la lista degli psicofarmaci che Francesco assume…
Ma il Tribunale giudica sufficienti le cure che in carcere Francesco riceve e irremovibile, conclude: “osservando che sicuramente il prevenuto è da ritenersi persona particolarmente pericolosa in ragione della tipologia della condanna in esecuzione (…) osservando infine come vi sia evidente pericolo di fuga, si è ragione della quantità di pena irrogata e deve essere espiata…”
E ditemi, siccome si tratta di condanna all’ergastolo, non è questa una condanna a “ tu qui devi morire?”. E di lentissima morte…

Ah, dimenticavo, la cosa forse più inquietante, sicuramente più grave dal punto di vista della garanzia del diritto. Il presidente del Tribunale di Sorveglianza che ha respinto il ricorso di Francesco contro la decisione del magistrato di sorveglianza, mi si scrive, è lo stesso magistrato di sorveglianza…
Non sto ad aggiungere altro sul fatto che sia una donna… che per altri, contestabili e arbitrari pensieri, si inerpicherebbe questo mio appunto…
Rimane una tristissima storia, su cui cade l’ombra paurosa del potere tremendo dell’uomo sull’uomo…

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