Il capitalismo ci guadagna sempre, anche sulle spalle dei profughi.
In Occidente, il capitalismo permea ogni singolo aspetto della vita degli individui, esso coinvolge non solo l’economia, ma la cultura stessa. Tale orientamento economico, che fin dalla sua nascita ha caratterizzato un determinato pensiero politico, ora si estende fino a raggiungere la sponda che gli è sempre stata nemica. Ed ecco che nasce un nuovo tipo di business definito sociale.
Anche quando si tratta di questioni umanitarie l’agire capitalista non si arresta e tende le sue mani su tutto quello che può rappresentare un guadagno.
Come già è risaputo, astute menti crudeli hanno trovato il modo di sfruttare le disavventure dei migranti in guadagni facili e cospicui. Ma, se tali individui hanno agito per lo più illegalmente, le varie aziende private sono più che legali e il loro operato risulta fondamentale all’interno della grande fabbrica economica.
Nel nuovo orientamento sociale in cui si vuole “fare del bene”, alcune aziende tecnologiche hanno voluto dare il loro contributo riguardo all’emergenza profughi offrendo varie App a sostegno dei poco fortunati viaggiatori.
Questi ausili tecnologici avrebbero lo scopo di sostenere ed orientare i migranti, sia durante la loro traversata in mezzo al mare, sia all’arrivo sulla terraferma.
Se tali obiettivi sembrano essere molto nobili e degni di considerazione, il più delle volte i risultati concreti sono stati assai poco efficienti se non totalmente inutili.
Evegeny Morozov, sociologo ed esperto di tecnologia bielorusso, ha espresso (in un articolo riportato sul periodico “Internazionale”) la sua contrarietà nei confronti di questo “capitalismo consapevole e compassionevole“.
Egli sostiene che quella creata da queste aziende sia solo un’illusione di libertà e benevolenza, i fatti reali che stanno sotto questi atti caritatevoli sono sempre mossi dall’antico principio del profitto.
In fondo si tratta pur sempre di aziende il cui obiettivo intrinseco alla loro esistenza riguarda il guadagno e non hanno nulla a che fare con l’assistenza umanitaria, la quale certamente non dovrebbe dipendere da queste attività imprenditoriali.