Buona musica per le orecchie dei consumatori: coltivare piantine di cannabis in casa non è più un reato, lo dice la Cassazione.
Cannabis e Italia sono da sempre state due forze in netto contrasto. Una grande confusione regna tra le menti dei consumatori, che ormai da troppo tempo si chiedono se la marijuana sia legale o meno in Italia. A prescindere dal motivo per il quale questa venga utilizzata, è importante comunque che vi sia una legge che ne disciplini il consumo. Certamente, per i più “appassionati”, anche la coltivazione. La liberalizzazione della cannabis light è stato un passo di fondamentale importanza per il nostro paese, anche se l’argomento ha trovato parecchi oppositori di fronte a sé.
Il concetto di cannabis light
I pregiudizi sulla questione esistono da sempre e probabilmente continueranno a sopravvivere anche quando la marijuana verrà (forse un giorno) completamente legalizzata. Eppure proprio questo periodo di lockdown sta mettendo a dura prova i nervi dei consumatori, sia occasionali che seriali, e sta facendo la fortuna della cosiddetta canapa legale. I pusher di cannabis tradizionale sono fuori dai giochi e la gente sceglie quindi di accontentarsi di una droga definita quasi pulita, non dannosa, e di conseguenza legale. Parliamo di marijuana con un contenuto di Thc (quello responsabile di reazioni come l’euforia, il rilassamento, l’alterazione della coscienza spazio-tempo e delle funzioni sensitive) al di sotto dello 0,5%.
A detta di molti, la cannabis light produce nell’individuo un effetto analgesico che neutralizza i mal di testa o i dolori articolari e aumenta la concentrazione e lo stato di veglia, non lasciando spazio agli effetti negativi causati dalla marijuana con alte concentrazioni di Thc.
Ma se quest’ultima, definita light, induce i diversi effetti positivi elencati, perché la gente si ostina a guardar di mal’occhio la questione? Per non parlare poi degli scopi medici/terapeutici per i quali viene utilizzata la cannabis. Non approvandone la legalizzazione, l’Italia ha sempre cercato di combattere il consumo di droghe e lo spaccio di queste ultime. Ma privando il libero consumo ed acquisto di una droga leggera, come la marijuana, non si è forse ottenuto l’effetto opposto?
Cannabis: i pro della legalizzazione
La domanda principale è una. Quali risultati ha prodotto sino ad oggi la politica proibizionista riguardante la cannabis? Ha contribuito effettivamente alla lotta alle mafie o ha solo incentivato il mercato dei narcotrafficanti? Sta di fatto che molti Stati nel mondo hanno legalizzato l’utilizzo di cannabis sia per uso personale che per scopi medici. Ciò ha permesso all’economia di questi paesi di ottenere grossi guadagni. Esempio recente è quello del Canada, che nel 2018 ha permesso ai cittadini maggiorenni di acquistare marijuana nei negozi o di coltivarla per un massimo di 4 piante. Il risultato ottenuto dal Canada è stato il guadagno di 41 milioni di dollari. A questi si aggiunge anche l’aumento dei posti di lavoro. Addirittura in uno stato come la Malesia, che ha leggi molto severe nei confronti dell’utilizzo di stupefacenti, l’uso personale della cannabis è stato depenalizzato.
Un’alternativa agli antidolorifici?
Diversi studi affermano che la popolazione ha ottenuto grandi benefici dalla legalizzazione della marijuan. Inoltre, l’assenza di disordini pubblici ha in un certo senso annientato le paure degli oppositori. Il risultato più importante, in termini di salute, derivato dalla legalizzazione della cannabis in stati come il Colorado e Washington, riguarda la rilevante riduzione dell’uso di farmaci antidolorifici da banco e di alcol. Secondo l’indagine, i ragazzi preferirebbero difatti fare uso di cannabis. Ciò ha certamente comportato la diminuzione dell’utilizzo di alcolici e delle conseguenti morti per incidente stradale causati appunto all’abuso di alcool. In Italia i diversi pareri (anche politici) contrastanti hanno fatto sì che la nazione procedesse a piccoli passi in merito alla questione della legalizzazione della cannabis. Le stesse leggi si sono fatte le guerra, contraddicendosi a vicenda nel corso degli anni. Forse l’unico evidente risultato è che il proibizionismo ha fallito nella sua lotta alla droga. E sulla questione cannabis è intervenuta la Cassazione, con una pronuncia da sola comunque non sufficiente.
Cannabis: il piccolo grande passo dell’Italia
Attraverso una sentenza depositata il 16 Aprile 2020, le Sezioni Unite Penali della Cassazione hanno affermato che coltivare in casa piantine di cannabis non è reato. Queste devono essere però destinate esclusivamente all’uso personale. Una sentenza storica quella della Corte di Cassazione sulla cannabis, che ha dato quindi seguito al principio di diritto emesso con una nota provvisoria il 19 Dicembre del 2019. E’ chiaro però che la possibilità di incorrere in sanzioni non è esclusa. La Sezioni Unite hanno quindi affermato il principio di diritto per cui:
“Il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità del tipo botanico e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente. Devono però ritenersi escluse, in quanto non riconducibili nell’ambito della norma penale: le attività di coltivazioni di minime dimensioni svolte in forma domestica, che per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore.”
Gabriella Gaudiano