Siamo nel 2020. In Bosnia, nella parte settentrionale dello Stato. Ancor più a nord, a 40 km da Bihać, nella città di Lipa. Lì, d’inverno, le temperature scendono sotto lo zero.
Molto spesso, è ricoperta di neve. Siamo a dicembre, uno dei mesi più freddi dell’anno.
Qui vi era un campo profughi che accoglieva 1500 persone: uomini, donne, bambini.
Il campo profughi è stato distrutto dalle fiamme. L’emergenza umanitaria scaturita dal rogo disastroso è l’ennesimo segnale che ormai tutti noi siamo colpevoli. Siamo davvero caduti nell’abisso dell’umanità.
Le cause del rogo nel campo profughi di Lipa
Il campo profughi di Lipa ha preso fuoco durante la giornata del 23 dicembre. Alcuni testimoni hanno riferito che il rogo sia iniziato da un deposito di carburanti e che si sia poi diffuso verso le tende in cui si trovavano i migranti.
L’incendio sembra essere stato appiccato dai migranti stessi in protesta a dinamiche non più sostenibili.
Da mesi, il campo di Lipa è attrezzato malissimo. Al freddo, si sono aggiunti problemi quali la totale mancanza di acqua, di energia elettrica e l’assenza di riscaldamenti.
Al sovraffollamento del campo, vi è stata l’intolleranza degli abitanti della città che hanno addirittura creato gruppi di linciaggio nel caso in cui qualcuno si fosse azzardato a superare il confine.
A tutto questo, come ci ricorda Valerio Nicolesi sui social, non va sottovalutata la violenza della polizia croata:
“Quando sono stato in Bosnia per raccontare la rotta balcanica la situazione era identica a questa o forse ancora più difficile perché non c’erano campi e le persone vivevano in palazzi abbandonati. E non è solo il freddo, come si dice in questi giorni, ma soprattutto la violenza della polizia croata che respinge queste persone.
“Big problem croation police”, dicono in continuazione […]. Le violazioni dei diritti umani sono quotidiane, la neve e il gelo peggiorano solo il disastro creato dall’uomo.”
Già in passato, grazie alla rivista Der Spiegel, è noto che la polizia croata spinge i migranti nei confini bosniaci attraverso forme di tortura. Ce lo testimoniano i richiedenti asilo: denti rotti, lacerazioni profonde sul corpo, unghie strappate.
La risposta dell’OIM
Così le autorità locali- coscientemente- non hanno fornito risposte per attrezzare il campo in vista dell’inverno, provocando così un ennesimo atto di violenza indiretta nei confronti di migliaia di persone. L’OIM, l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, proprio quel giorno, aveva dato inizio al ritiro del personale. Una forma di protesta nata contro l’indifferenza a cui erano sottoposti.
Le soffocanti dinamiche politiche e sociali degli ultimi mesi, dunque, sono tutte sfociate in un’azione disperata.
Si può trascorrere la notte in un’unica tenda incolume dalle fiamme? O trascorrere con i propri figli ore intere nella foresta che circonda il campo? A piedi nudi, con vestiti inadeguati e con la paura di morire?
“I media troveranno solo morti”, se si continua così.
Crediamo con fermezza che episodi come questo, accaduti a Lipa, ma anche pochi mesi fa a Moria, in Grecia, non siano delle spie fievoli. Ci ritroviamo davanti ad un’emergenza che non può più attendere che le poltrone si smuovano di qualche centimetro, che le differenze tra i popoli continuino su la scia del separatismo anziché considerarle come una risorsa.
È l’odio che nutre i popoli, che inietta violenza e schiaccia i sogni. Che poi, ditemi voi se la vita è un sogno o un diritto inalienabile.
Siamo davvero sicuri di aver raggiunto uno stadio di civiltà?
Maria Pia Sgariglia