Quando ero più piccola e in età scolare, il Giorno della Memoria lo vedevo come un obbligo. Non che i film sull’Olocausto che ci facevano vedere non smuovessero in me alcun sentimento, tutt’altro. Ma in giovane età lo spessore e l’importanza del ricordo son concetti troppo astratti da capire. Poi son cresciuta, mi son messa a studiare per mio personale interesse. Sono arrivata a conoscere e capire le differenze tra semitismo e sionismo. I punti di accordo tra il nazismo e il fascismo. I campi di concentramento italiani. Pian piano, documento dopo documento, ho costruito la mia memoria.
Quando si parla di campi di concentramento e di campi di sterminio i primi nomi che vengono in mente sono: Auschwitz, Birkenau, Mauthausen.
Campi di concentramento, invenzione tedesca?
I campi di concentramento non furono un’invenzione dei tedeschi. Tra i primi a farne uso per confinare i civili su base etnica ci furono i britannici durante la Seconda guerra anglo-boera (1899-1902), in Sudafrica. Gli inglesi deportarono bambini, donne e persone anziane in campi dove trovarono la morte 40 mila persone. Secondo gli storici, ad ispirare i britannici furono gli spagnoli, che avevano rinchiuso nei campi gli indigeni cubani. A ispirare Hitler furono però i nazionalisti turchi, che nel 1915-16 rastrellarono tutti gli armeni presenti sul territorio. Una campagna mirata ed organizzata che portò all’uccisione di oltre un milione e 300 mila armeni. Se tu, lettore, hai mai letto i libri di Antonia Arslan “La masseria delle allodole” oppure “La strada di Smirne” sai di cosa parlo. Se non li hai mai letti aggiungili subito nella tua wishlist. Perché non bisogna dimenticare. Mai.
Campi di concentramento in Italia
Anche l’Italia, quando si parla di campi di concentramento, ha le sue colpe da espiare. Il nome che venne loro dato fu più soft, meno da prima pagina. Campi di internamento.
Stando a quanto dice il diritto internazionale l’internamento è una misura restrittiva della libertà personale, che tutti gli Stati hanno il potere di applicare in caso di guerra. Diversi furono i campi di internamento aperti in Italia, ma le regioni regine in questo senso furono Abruzzo, Marche e Molise. Per la loro peculiarità geografica (zone isolate e impervie, difficilmente raggiungibili) e la scarsa politicizzazione degli abitanti, furono i luoghi perfetti in cui rinchiudere i nemici dello Stato.
Nella provincia di Chieti esistevano sei campi di concentramento e venti località di internamento per ebrei, cittadini stranieri e oppositori al nazifascismo. Dal 1940 al 1943 Istonio (Vasto) Marina ospitò un campo di concentramento. Per alcuni internati questo fu l’ultimo “luogo di residenza noto”. Ed è proprio sul campo di concentramento di Vasto Marina che voglio soffermarmi.
L’Abruzzo e i campi di concentramento: Vasto Marina
Esiste un libro che racconta la storia dei campi di concentramento in Abruzzo. Si intitola “Dall’internamento alla deportazione. I campi di concentramento in Abruzzo (1940-1944)”, scritto da Costantino Di Sante. Per te, mio caro lettore, voglio riportare alcuni passi che trattano del campo di concentramento di Vasto Marina. Così costruiamo insieme la memoria, tassello dopo tassello. Aggiungi un piccolo nome, Vasto Marina, accanto a quelli già tristemente noti.
“Il regime fascista predispose due forme d’internamento: quello “libero”, cioè in comuni diversi dalla residenza abituale, e quello nei campi di concentramento. (…) Il Ministero dell’Interno diresse la fase organizzativa mantenendo una stretta corrispondenza con i Prefetti che indicarono i luoghi adatti all’istituzione dei campi e i comuni per il soggiorno coatto.
(…) Per i campi vennero utilizzati edifici già esistenti, di proprietà demaniale o, in mancanza di essi, presi in affitto, come, ad esempio: ville, capannoni, fattorie, castelli disabitati, conventi, scuole, ex carceri e caserme. Gli internati “liberi” vennero invece sistemati in pensioni o in camere ammobiliate.
Il 1 giugno 1940 il Ministero dell’Interno inviò alle prefetture una circolare telegrafica che riassumeva le norme sull’internamento:
“Appena dichiarato lo stato di guerra, dovranno essere arrestate e tradotte in carcere persone pericolosissime sia italiane che straniere di qualsiasi razza, capaci di turbare l’ordine pubblico e commettere sabotaggi o attentati, nonché le persone italiane e straniere segnalate dai centri di controspionaggio per l’immediato internamento.”
(…) La maggior parte degli internati nei campi era rappresentata da irridentisti slavi della Venezia Giulia e dell’Istria, da ebrei, in prevalenza tedeschi, da polacchi, jugoslavi, greci, inglesi, indiani, libici, cinesi, da apolidi, da zingari di nazionalità slava e, per finire, dagli antifascisti italiani.
(…) Solo da pochi anni sono stati fatti studi sull’internamento e solo per alcuni campi di concentramento sono state condotte ricerche specifiche. Mentre dei lager tedeschi si conosce quasi tutto, riguardo ai campi di concentramento italiani ancora non si riesce a stabilire quanti erano, come erano organizzati, dove erano situati, chi vi era internato e quali erano le loro condizioni di vita.
L’internamento
(…) Il 20 maggio 1940, con un telegramma n. 443/35615, del Ministero dell’Interno ai prefetti, si ebbe il primo provvedimento nei confronti degli ebrei stranieri. Il 26 maggio in una corrispondenza tra il Ministero dell’Interno con gli Affari Esteri, si proponeva che
“gli ebrei stranieri residenti in Italia o precisamente quelli che vi sono venuti con pretesti, inganni o mezzi illeciti, dovessero essere considerati appartenenti a Stati nemici.”
(…) L’Abruzzo, per i luoghi impervi, la scarsa concentrazione abitativa, la minore politicizzazione degli abitanti, la scarsità delle vie di comunicazione e l’assenza di zone militarmente importanti, rappresentava una delle regioni che, più delle altre, aveva tutti i requisiti richiesti dal Ministero dell’Interno per poter istituire campi di concentramento e località d’internamento.
L’istituzione dei campi di concentramento
(…) Dopo aver individuato le località e gli edifici adatti per l’internamento, compito delle Prefetture era quello di acquisire lo stabile. Se era di proprietà privata si doveva stipulare un contratto di locazione con i proprietari. Una volta acquisito l’edificio si sarebbe dovuto procedere all’occupazione “mezzo arma” dei fabbricati.
(…) Il casermaggio dei campi era fornito dalle stesse imprese che avevano in appalto il servizio di casernaggio ai carabinieri, agl agenti di P.S. e alle colonie di confino. Il materiale richiesto era lo stesso previsto per le colonie di confino e per ciascuna persona l’impresa doveva fornire:
“branda o letto in ferro con rete metallica o con telo; due lenzuola di tela canapina o di cotone; una coperta di lana oppure di cotone per la stagione estiva; due asciugamani di tela; una seggiola; un attaccapanni; un catino di metallo; un comodino di legno; una bottiglia; un bicchiere di vetro o di alluminio.”
Per molti campi il materiale venne fornito dalle imprese solo dopo alcuni giorni dalla loro apertura e in maniera approsimativa per la mancanza di disponibilità delle forniture richieste.
Il campo per gli italiani “pericolosi” di Vasto Marina
(…) Il campo di Vasto Marina fu uno dei primi campi abruzzesi ad essere allestiti. L’11 giugno 1940 era già attivato: era costituito dall’albergo dell’avv. Oreste Ricci e dalla villa degli eredi Marchesani. Aveva una capienza complessiva di 280 posti, poi diminuita a 170.
Nel campo di Vasto vi si internarono, soprattutto, italiani ritenuti “pericolosi”, e solo negli ultimi mesi, precedenti la chiusura, gli slavi. Nel luglio 1940 arrivarono i primi 79 internati, perché “sovversivi schedati”, gli altri perché ritenuti “pericolosi in linea politica”. Il 15 settembre erano presenti nel campo 109 internati tutti italiani ritenuti “pericolosi”.
(…) Nel mese di gennaio 1941 venne scoperta, dallo stesso direttore, un’organizzazione sovversiva che si stava formando all’interno del campo: i promotori, Mauro Venegoni e Angelo Pampuri, vennero trasferiti alla colonia delle Tremiti.
La gestione e la vita nei campi di concentramento
(…) Le condizioni di vita, nel campo di Vasto, vennero rese difficili dalla mancanza di spazio e degli infissi in alcuni locali, dall’insufficienza dei servizi igienici, dalle difficoltà di approvvigionamento del vitto e dall’attaggiamento arbitrario, nei confronti degli internati, del direttore Vincenzo Prezioso. All’inizio il direttore non autorizzò l’approntamento di una mensa comune nel campo e costrinse gli internati ad andare nelle trattorie del paese, creando gravi disagi ai meno abbienti.
(…) Dopo il 25 luglio 1943, le autorità militari sollecitarono la chiusura del campo, perché nei pressi di Vasto erano iniziati dei lavori di fortificazioni per la difesa del territorio, e gli internati, dei quali alcuni accusati di spionaggio, potevano vedere, sapere e forse anche riferire quello che si stava facendo.
Il Ministero dell’Interno, per la mancanza di posti disponibili in altri campi, dispose solo il trasferimento degli elementi più pericolosi mentre il campo continuò a funzionare fino alla fine del settembre successivo.
(…) Le condizioni igieniche e sanitarie dei campi abruzzesi, nella maggior parte dei casi, risultavano essere pessime. Questo era da ricondurre, soprattutto, allo stato degli edifici adibiti a campo di concentramento. I medici provinciali, addetti al controllo igienico e sanitario dei campi, la Croce Rossa Internazionale e gli Ispettori Generali, spesso denunciarono le carenze nelle quali si trovavano. In alcuni periodi, a causa del sovraffollamento, parte degli internati furono costretti a dormire per terra ammassati nelle camerate.
(…) L’arrivo della corrispondenza era per gli internati uno dei momenti più attesi. Il poter avere notizie dei familiari e degli amici diventava uno dei pochi momenti che interromoevano la noia e l’isolamento su quello che accadeva fuori dal campo.
(…) La corrispondenza sia in arrivo che in partenza, veniva controllata dal direttore del campo oppure dal podestà. Nel revisionare i pacchi spesso i direttori e le direttrici ne approfittavano per prendere parte di quello che venivano spedito agli internati.
L’occupazione tedesca
(…) Dopo l’armistizio, mentre i campi istituiti nell’Italia meridionale vennero liberati dagli Alleati, quelli che si trovavano nell’Italia centrosettentrionale continuarono a funzionare sotto l’occuoazione tedesca e secondo le nuove norme della Repubblica Sociale Italiana.
(…) I campi abruzzesi ebbero destini differenti. Il Prefetto della Provincia di Chieti, verso la fine di ottobre, comunicava al Ministero dell’Interno che “in seguito agli avvenimenti bellici che si svolgono in questa Provincia i campi di concentramento in questa giurisdizione si sono automaticamente sciolti. Gl’internati sia dei campi che nei comuni d’internamento si sono nella massima parte dati alla latitanza mentre alcuni sono stati rastrellati dalle forze armate Germaniche.”
(…) Dopo l’8 settembre 1943, l’Italia divenne territorio soggetto all’occupazione della Wehrmacht. Il 12 settembre il maresciallo Kesserling dichiarava il territorio italiano “territorio di guerra” e sottoposto alle keggi tedesche.
(…) L’Abruzzo, per circa 8 mesi, divenne zona di operazioni militari fino al Giugno 1944, quando l’intera regione venne liberata.
(…) Numerosi furono i partigiani, gli antifascisti e i semplici cittadini rastrellati dai soldati tedeschi che vennero rinchiusi nei campi di concentramento abruzzesi, specialmente in quello di Teramo.
(…) Nell’ottobre 1943 i nazisti decisero di estendere anche all’Italia la “soluzione finale”. L’Italia, in base alle disposizioni tedesche, doveva divenire “Judenrein” (ripulita dagli ebrei). (…) Gli ebrei deportati dall’Italia saranno 6.746, di questi 5.916 moriranno nei lager tedeschi. Anche le varie autorità provinciali abruzzesi, insieme agli addetti alla sorveglianza dei campi di concentramento, nella maggior parte collaborarono con i tedeschi. Il 21 dicembre 1943, i Carabinieri nel campo di Nereto consegnarono alle SS 61 ebrei, pur sapendo quale sarebbe stata la loro sorte. Il 23 marzo 1944, il Capo della Provincia intensificò la sorveglianza nei campi e nei confronti degli internati che si trovavano nei comuni, in modo da impedire possibili fughe. Il direttore del campo di Civitella consegnò ai tedeschi i numerosi ebrei libici, i quali in parte moriranno nel campo di Auschwitz.”
Lorena Bellano