Vi è mai capitato di dire “Caspita, quanta gente è contro Salvini” e poi di venire smentiti puntualmente dai risultati elettorali? E’ successa la stessa cosa con Trump e, qualche giorno fa, con Johnson nelle elezioni britanniche. E non è un caso: una spiegazione c’è e fa riferimento alle “camere dell’eco”.
Succede sempre così ultimamente con le elezioni. Ci informiamo anche tramite Internet, seguiamo il dibattito su Twitter, le dirette su Facebook, magari leggiamo pure qualche approfondimento sui giornali. Ci sembra che le elezioni vadano in un certo verso e, puntualmente, veniamo smentiti dagli exit poll.
I precedenti
E’ successo anche con le elezioni del Regno Unito. Come riportato dal Telegraph, Internet, in barba ai sondaggi ufficiali, dava per scontata la vittoria laburista di Jeremy Corbyn. Twitter è letteralmente stato inondato dall’hashtag #toriesout. Ha suscitato sorrisi (più o meno amari, dipende dai punti di vista) un sondaggio live, di cui ha parlato anche la sorella del vincitore, Rachel Johnson, in cui si diceva i laburisti fossero in netto vantaggio.
A pensarci bene era successo anche con Trump. Tutti sembravano Democratici e, poi, invece, a gennaio saranno già tre i suoi anni alla Casa Bianca. Se il sistema statunitense, però, ha anche dei meccanismi interni che prevedono un’attribuzione diversa di seggi non proporzionale al numero dei voti ottenuti, tramite il sistema dei grandi elettori, il dubbio rimane per il resto dei terremoti elettorali degli ultimi anni.
Un fenomeno con più spiegazioni
Una risposta semplice e tutto sommato non ignorabile riguarda la sottorappresentazione di tutti coloro che non hanno Internet e che, comunque, votano. A questo si aggiunge, come negli Stati Uniti, la complicata questione dei sistemi elettorali e dei criteri di assegnazione dei seggi, va bene. Ma anche questo non basta. Il fenomeno ha una spiegazione molto precisa ed è un argomento molto scottante ultimamente per la comunicazione politica. E’ il fenomeno delle camere dell’eco, a cui si aggiunge il “bubble effect”.
Cosa sono le camere dell’eco
Si parla di echo chambers o di “camere dell’eco” per definire quei contesti che, sui media, portano all’isolamento ideologico. Funziona così: un utente accede alla sua bacheca Facebook, ad esempio, e ci trova notizie, post e contenuti che confermano le sue idee politiche, uscendo quasi sollevato e rafforzato nelle sue posizioni. Può accadere per la politica, ma nemmeno la religione e altre materie prettamente ideologiche sono esenti. Viviamo quindi in bolle che ci illudono del pluralismo delle fonti e delle notizie, chiudendoci invece sempre di più sulle nostre posizioni, perché siamo bersagliati da notizie che ce le rafforzano.
Prendiamo un esempio a caso: Salvini
Ad esempio: supponiamo di essere un utente italiano contro le idee di Matteo Salvini. Secondo la teoria delle camere dell’eco, è più probabile che, aprendo i social, io trovi tra i contenuti degli amici e delle pagine che seguo post, meme e articoli contro l’operato di Matteo Salvini. Scrollo, giorno dopo giorno, ora dopo ora e continuo a trovare contenuti che confermano le mie idee. In questo modo, finisco per convincermi che in Italia siano molto più numerosi i detrattori di Salvini rispetto ai suoi sostenitori. Poi, però, le urne mi smentiscono e torno a casa con quel senso di sconfitta bruciante e inaspettata sempre più frequente, che i più moderati tradurranno con un “Mi aspettavo una sua vittoria, ma non così eclatante”.
Siamo bombardati di informazioni e selezioniamo
Internet è il regno dell’abbondanza e, quindi, l’utente è obbligato a selezionare il numero di informazioni con cui interagire. Ultimamente, numerosi studi dimostrano che diamo maggiore credibilità alle notizie condivise da amici e parenti. Si tratta di persone che provengono dal nostro stesso contesto, o che, magari, ai nostri occhi, godono di una certa approvazione all’interno di un gruppo definito di persone. In queste camere, quindi, rimbalza sempre lo stesso tipo di contenuto ed è facile convincersi (attraverso il cosiddetto bias confermativo) che le opinioni della propria cerchia di contatti siano le uniche esistenti. Ci illudiamo che, quindi, alle prossime elezioni vinca questo o quel candidato, perché è l’unico esistente nella nostra bolla.
A questo si aggiungono le bolle di filtraggio
Leggermente diverso è invece il fenomeno delle filter bubble. Le bolle sarebbero lo strumento digitale ulteriore che rafforzerebbe il fenomeno delle camere dell’eco. Praticamente, quando eseguiamo una ricerca, i risultati sono personalizzati in base alle ricerche che abbiamo effettuato in passato. Ad accusare algoritmi e Google, è stato Eli Parisier, attivista di Internet. Secondo Parisier, gli utenti sarebbero meno esposti a punti di vista conflittuali proprio perché isolati strumentalmente nella propria bolla di informazioni, in cui la stessa opinione rimbalza e viene riproposta. Le echo chambers, comunque, si rafforzano proprio perché sociologicamente un individuo è più portato a manifestare le sue idee se sa di poter trovare l’appoggio dei suoi contatti. Si tratta essenzialmente della nostra risposta al bisogno di appartenenza. In queste camere, poi, l’individuo si sbottona e si lascia andare a toni forti, proprio perché non teme la reazione di chi sa essere dalla sua parte.
Un’opinione pubblica disabituata all’argomentazione
Tra gli effetti analizzati degli studiosi però ci sarebbero anche l‘estremizzazione e la polarizzazione del gruppo, cioè le derive verso posizioni radicali e intolleranti. In un contesto in cui ognuno apre Internet per avere conferma di ciò che pensa, appare quindi abbastanza ipocrita l’espressione “l‘informarsi su Internet“. Sarebbe più opportuno parlare di un “rafforzarsi” o di un “confermarsi” su Internet. Le camere dell’eco sono quindi il fertilizzante nel terreno della “misinformazione”, che non è l’assenza di informazione, quanto più l’assorbimento di informazioni sbagliate. L’informazione rischia quindi di essere monopolizzata dalla spirale del silenzio: le minoranze in questo quadro non avrebbero voce e, in generale, gli utenti sarebbero sempre meno portati a confrontarsi con opinioni diverse dalle proprie e a mettere in crisi quello in cui credono.
Resta solo l’hate speech
A questo punto, quindi, sorge una domanda: c’è un collegamento tra questo progressivo abbandono del confronto argomentato e il crescente inasprimento dei toni, quando, gli utenti leggono un’opinione diversa dalla propria? Se ci stiamo disabituando a incontrare opinioni diverse, vuol dire che gradualmente stiamo fuori allenamento nel sostenere le nostre posizioni. E, prima di essere utenti e cittadini, siamo solo degli ultras, forti dei loro toni e delle loro posizioni rafforzatesi con l’illusorio pluralismo della rete.
Elisa Ghidini