Potrebbe sembrare un azzardo associare cambiamenti climatici e razzismo. Eppure si tratta di due problemi interconnessi, che hanno per comun denominatore l’indifferenza, l’ignoranza e il pregiudizio.
La giustizia, questa sconosciuta
La raccapricciante uccisione di George Floyd ha fatto riemergere una delle tante spine nel fianco del nostro sistema: viviamo in un mondo dove la giustizia non è la benvenuta. L’iconografia ce la presenta come una bella fanciulla che regge in mano una bilancia, con due piatti in perfetto equilibrio. Ma nella vita reale uno dei due piatti è sempre più pesante dell’altro. E, quando si tratta di perpetrare discriminazioni, di risvegliare odi razziali, oppure di salvaguardare anacronistiche supremazie di genere, il peggio dell’essere umano non esita a manifestarsi.
Un mondo malato
«Non possiamo pretendere di essere sani in un mondo malato.» Con queste parole, papa Francesco – nella Giornata Mondiale per l’ambiente (5 giugno 2020) – ha nuovamente preso posizione sul tema; specificando che la cura degli ecosistemi, la conservazione della biodiversità, non sono problemi che riguardano l’immediato: perché ogni lotta in nome dell’ambiente e dell’umanità deve poter entrare in un ordine di idee che guardi al futuro, al bene delle prossime generazioni.
Concetti più volte espressi da Greta Thunberg, così come dai sostenitori di Fridays for future, e sempre presi sottogamba dai “negazionisti”. Da chiedersi, a questo punto, se ascolteranno i suggerimenti del Papa, visto che quelli della scienza li hanno finora beffeggiati.
La natura si ribella
Alluvioni, incendi, scioglimento dei ghiacciai, il permafrost che rilascia virus e batteri. Ecco alcuni degli effetti dei cambiamenti climatici che abbiamo ogni giorno sotto gli occhi. Non ultimo il devastante riversamento di 20.000 tonnellate di gasolio nei fiumi artici.
Eppure molti sottovalutano il problema, specie se convinti che i disastri ambientali non dipendano dall’intervento umano. Tra essi – purtroppo – i politici che avrebbero il potere di invertire la rotta.
Cambiamenti climatici e razzismo ambientale
Già dagli anni Settanta si è iniziato a parlare di cambiamenti climatici e razzismo ambientale. Un fenomeno che solo l’ipocrisia potrebbe definire “accidentale”: discariche altamente inquinanti, impianti chimici dannosi per aria e acqua, vengono di rito costruiti in aree lontane dagli occhi (e dal cuore) delle classi abbienti.
È un concetto banale, ma vale la pena rammentarlo: soprattutto nei momenti di crisi, sono sempre le fasce più deboli della popolazione a rimetterci.
In America, cambiamenti climatici e razzismo sono divenuti inscindibili
Negli USA, dove neri e ispanici vivono una situazione di estremo disagio economico e sociale, Trump continua a manifestare le sue simpatie per le lobby dei suprematisti bianchi; peraltro auspicando azioni maggiormente repressive sulle spontanee manifestazioni contro l’omicidio di George Floyd. Nell’invocare Laws and Order, cerca in realtà l’appoggio di repubblicani e nazionalisti, i quali hanno tutto l’interesse a mantenere intatti i loro privilegi.
Un altro famoso negazionista, Jair Bolsonaro, porta avanti una politica di deforestazione dell’Amazzonia per avvantaggiare i latifondisti del Brasile: così facendo, mette a rischio l’esistenza degli indios con operazioni da considerare genocide. E, in questo, è appoggiato da compagini di estrema destra, a suon di programmi nazionalisti, razzisti, sessisti e omofobi.
In Italia, Giorgia Meloni e Matteo Salvini non perdono occasione per ribadire la loro insofferenza verso migranti ed emarginati; ma anche nei confronti di coloro che manifestano per i diritti umani e della salvaguardia del clima.
Perché i negazionisti non credono alla scienza?
Curiosamente, ma anche fino a un certo punto, i negazionisti delle responsabilità umane sui disastri ambientali sono gli stessi che spesso manifestano intolleranze razziali, o si fanno portatori di pesanti discriminazioni.
Perché prendono sottogamba i rapporti dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change)?
Forse perché sanno che, ovunque sul nostro pianeta, a subire maggiormente i danni del surriscaldamento globale sono le persone marginalizzate, discriminate, povere o di colore. E, soprattutto, vengono e verranno sempre più colpite le popolazioni che non appartengono al mondo occidentale. Persone e comunità già di per sé svantaggiate, che si ritrovano sempre più spesso prive di risorse come acqua, cibo e territori abitabili; nonché in situazioni di povertà sempre più drammatiche, che le spingono a disperate migrazioni.
La discriminazione come parola d’ordine
La caratteristica comune delle ideologie di destra è la tendenza a costruire un’idea dell’umanità tribalizzata e in eterna competizione. Da qui, il richiamo al nazionalismo. E quindi ai valori e agli interessi “interni”, in contrasto con il nemico di turno. Un nemico a volte rappresentato da chi preme contro le frontiere (sia esso la UE, o gli immigrati); ma anche semplicemente da donne, neri o minoranze che protestano i loro diritti.
Questa forma mentis favorisce un modello di pensiero “divisivo”. Un pensiero che tende a valutare positivamente l’egoismo, ad anteporre il presunto bene del proprio Paese, della propria razza o classe sociale. A difendere a spada tratta frivoli interessi borghesi a scapito della sopravvivenza di “altri” per lingua, pelle, censo, sesso. Fino al punto di minacciare, in nome di tale piccolezza di vedute, la sopravvivenza della Terra e dell’intera umanità.
Soffre maggiormente chi ne è meno responsabile
«Libertà significa responsabilità: ecco perché molti la temono», scriveva George Bernard Shaw, in un’impennata ottimistica. La verità è che i nostri politici (italiani e internazionali) non temono affatto questa responsabilità: anzi, spesso e volentieri la calpestano. Il loro ideale è una libertà che esuli dal concetto di responsabilità. E questo deprecabile atteggiamento ci riporta alle connessioni tra cambiamenti climatici e razzismo.
Sono trascorsi più di vent’anni da quando Bill Mc Kibben, cofondatore di 350.org, espresse l’evidenza di oggi: «I cambiamenti climatici colpiscono chi ne è meno responsabile». Ossia chi non ha la libertà di prendere decisioni; chi sta subendo l’arbitrio di uomini di potere talmente presuntuosi da ignorare le continue voci di allarme mandate dagli scienziati di tutto il mondo.
Claudia Maschio