In questo periodo si sente spesso parlare del calo degli sbarchi e di come quindi stia funzionando l’accordo stretto tra il ministro degli Interni Marco Minniti e le autorità libiche.
I dati del cruscotto statistico del Dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione confermano in data odierna un calo degli sbarchi del 31,82% rispetto all’anno scorso.
Pochi però riflettono sulle implicazioni di questo calo. Dove finiscono tutte le persone in fuga dalle guerre e dalla fame?
La risposta è semplice e tragica: rimangono o vengono rimandati in Libia. Il passaggio obbligato per la salvezza che si trasforma in un inferno, forse ancora peggiore del precedente. Finiscono in mano a degli aguzzini senza pietà, sono incarcerati, picchiati, violentati e torturati, senza distinzione di genere o di età.
Lo stesso Nils Mui Nieks, commissario dei diritti umani del Consiglio d’Europa, in una lettera inviata il 28 settembre scorso al ministro dell’Interno Minniti, chiede di chiarire:
“…quali salvaguardie l’Italia abbia predisposto per garantire che le persone intercettate o salvate dalle navi italiane nelle acque territoriali libiche non siano poi sottoposte a situazioni contrarie all’articolo 3 della Convenzione europea dei Diritti Umani“.
La scorsa settimana c’è stato un improvviso aumento degli arrivi. Nel comunicato stampa di sabato 25 novembre di SOS MEDITERRANEE si legge come la nave Aquarius, gestita in partnership con MSF (Medici senza Frontiere), abbia soccorso più di 800 persone in mare: 387 tra mercoledì 23 e giovedì 24 e 421 sabato 25 novembre in una singola operazione di soccorso di un’imbarcazione di legno sovraccarica.
Le atrocità in terra libica
In questi ultimi sbarchi, perpetuati dopo diverse ore di attesa causate dagli stand-by ordinati dalla sala operativa di Roma della Guardia Costiera (non era chiaro se a coordinare il salvataggio dovesse essere la Guardia Costiera italiana o quella libica… del resto, che fretta c’era?), appaiono più che mai evidenti le atrocità che queste persone hanno dovuto subire in terra libica.
La maggior parte dei naufraghi mostra segni di malnutrizione, disidratazione e le cicatrici delle violenze subite.
Giovedì a bordo del gommone i soccorritori hanno trovato il corpo senza vita di una giovane donna eritrea con segni evidenti di parto. Secondo i testimoni la ragazza avrebbe partorito prematuramente il suo bambino in carcere, dove il piccolo è morto. La donna sarebbe quindi stata lasciata sul pavimento senza cure. Una straziante agonia di tre giorni. Una testimone afferma che i carcerieri l’hanno presa quando era il momento di partire, ma la donna è morta mentre erano ancora in terra ferma. L’hanno comunque buttata sul gommone dicendo:
“Gettatela a mare e andate a morire anche voi nel Mediterraneo”.
Queste sono le persone con cui i nostri politici fanno accordi. E queste sono le conseguenze di questi accordi. Ricordiamocelo prima di esultare per il calo degli sbarchi.
Fadua Al Fagoush