Il governo Meloni esulta per il calo degli sbarchi, non cogliendo il grande impoverimento in termini economici e culturali che questo dato comporta. Quest’anno l’Italia ha registrato 35.725 arrivi, rispetto ai 94.009 ad agosto 2023.
Il calo degli sbarchi e la rotta dal Bangladesh
Nel 2024, l’Italia ha registrato una riduzione del 62% degli arrivi di migranti rispetto allo stesso periodo del 2023, passando da 94.009 a 35.725 arrivi. Questo dato può essere interpretato positivamente sotto diversi aspetti. Da un lato, il centrodestra si compiace perché il calo degli sbarchi riflette l’efficacia delle politiche di controllo delle frontiere e degli accordi bilaterali con i paesi di origine e transito. Dall’altro, la presenza di nuovi stranieri in Italia, anche se in numero ridotto, rappresenta un’importante risorsa per il Paese.
L’arrivo di migranti, infatti, può contribuire in maniera significativa al rinnovamento della forza lavoro, specialmente in settori come l’agricoltura, la costruzione e i servizi, dove la domanda di manodopera è alta. In un contesto di invecchiamento della popolazione e di declino demografico, i nuovi arrivi possono rappresentare una soluzione alle carenze di personale, contribuendo a sostenere la crescita economica e a mantenere la vitalità del mercato del lavoro.
Tra le nuove rotte migratorie che stanno emergendo, quella dal Bangladesh sta guadagnando particolare attenzione. Nonostante le preoccupazioni legate all’aumento dei flussi migratori provenienti da questo paese, vi sono anche aspetti positivi da considerare. I migranti bengalesi, ad esempio, sono spesso giovani e disposti a lavorare in settori che richiedono manodopera intensiva, come l’agricoltura e la ristorazione.
L’integrazione di questi nuovi lavoratori nel tessuto economico e sociale italiano può portare benefici tangibili, non solo per le imprese che necessitano di manodopera, ma anche per l’intero sistema previdenziale. L’ingresso di giovani lavoratori contribuisce infatti a bilanciare il sistema pensionistico, aumentando il numero di contribuenti e alleviando parte della pressione finanziaria legata all’invecchiamento della popolazione.
Rimpatri e integrazione: due facce della stessa medaglia
Parallelamente alla gestione degli arrivi, il governo italiano ha intensificato le operazioni di rimpatrio, registrando un aumento del 20% rispetto all’anno precedente. Questo rafforzamento è stato accompagnato da un potenziamento delle strutture preposte, come i Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR). C’è poi da sottolineare che le autorità italiane stanno sempre più andando nella direzione degli sbarchi selettivi.
Tuttavia, è importante sottolineare che la gestione dei rimpatri deve andare di pari passo con politiche efficaci di integrazione, le quali sono fondamentali per garantire la coesione sociale e prevenire fenomeni di esclusione e marginalizzazione. Investire in programmi di formazione, dunque, sarebbe più utile che concentrarsi su politiche che hanno come solo obiettivo il calo degli sbarchi. Oggi è necessario che i nuovi stranieri abbiano accesso al lavoro, al fine di raggiungere quell’inclusione sociale che può trasformarsi in un’opportunità di sviluppo per l’intero Paese.
La miopia dell’Italia
Lo dicono i dati: il problema non sono i nuovi arrivi, né il calo degli sbarchi risolverà problemi che hanno altri responsabili. La questione su cui ragionare è che oggi gli immigrati sono ancora sfruttati, sottopagati, umiliati, tanto che il fenomeno migratorio sta assumendo i connotati di una vera e propria tratta degli schiavi. Tanti lavoratori italiani lamentano di essere costretti ad abbassare il prezzo della propria manodopera perché gli immigrati fanno lo stesso lavoro a una paga inferiore. Ma se questi immigrati vengono pagati poco è perché c’è qualche datore di lavoro italiano che approfitta della loro indigenza per risparmiare sui costi della manodopera.
Ci si rifiuta di accettare che oggi l’immigrazione è diventata non solo un’opportunità di crescita culturale per il paese, legata all’integrazione, ma soprattutto è diventata una necessità se si ragiona in termini prettamente economici. Infatti, l’invecchiamento della nostra popolazione, causato dall’aumento della speranza di vita e dal basso indice della natalità, provoca una riduzione del numero dei contribuenti per ogni beneficiario di aiuti pubblici: che siano pensioni, sostegni sanitari, o anche misure di welfare. In questo senso l’immigrazione potrebbe dare un aiuto non da poco.
Il calo degli sbarchi non è quindi un dato di cui andare fieri, né una politica migratoria sulla quale puntare, almeno nel breve periodo. Perché se è vero che all’inizio i paesi devono assumersi i costi dell’integrazione sociale degli immigrati, è altrettanto vero che la loro giovane età farebbe di loro dei contribuenti netti nel lungo periodo, se solo il loro lavoro fosse regolarizzato e non sottopagato.