Calo degli sbarchi in Italia: nei primi sei mesi del 2024 gli arrivi di migranti si sono ridotti del 60%

Nei primi sei mesi del 2024 si è verificato un calo degli sbarchi del 60% rispetto allo stesso periodo del 2023 sulle coste italiane

Nei primi sei mesi del 2024 si è verificato un drastico calo degli sbarchi di migranti in territorio italiano. Una delle motivazioni principali sono gli accordi che il governo italiano di Giorgia Meloni ha stretto con quello del presidente tunisino Kaïs Saïed.

Il calo degli sbarchi nei primi sei mesi del 2024

Il cruscotto giornaliero del Ministero degli Interni aggiornato al 2 luglio mostra come nei primi sei mesi dell’anno, rispetto al 2023, da gennaio a circa fine giugno del 2024, gli arrivi sulle coste italiane sono calati di circa il 60%. L’anno scorso, anno record per gli arrivi di migranti sulle coste italiane, erano arrivate entro giugno 65.828 persone mentre quest’anno ne sono sbarcate solamente 26.168, un numero incredibilmente più basso anche in confronto ai dati del 2022 di 28.265 arrivi. Le nazionalità più rappresentate tra quelle dichiarate al momento dello sbarco sono: il Bangladesh con 5.540, seguita da Siria con 3.700 arrivi e dalla Tunisia con 3.260.

Il calo degli sbarchi è particolarmente evidente a Lampedusa, principale hotspot italiano per gli arrivi dal Mediterraneo. Qui la diminuzione è stata ancora più drastica: la Croce Rossa, una delle principali organizzazioni attive per la prima accoglienza nell’isola, ha accolto a giugno 2.885 persone in confronto alle 10.441 dello stesso mese nel 2023, un calo che si aggira attorno al 73%.

Gli accordi con la Tunisia e le azioni del governo italiano

Una delle principali ragioni di questo drastico calo sono sicuramente gli accordi siglati tra Italia e Tunisia in seguito all’innalzamento degli arrivi provenienti dalla rotta tunisina rispetto a quella libica negli ultimi due anni. Il governo di Giorgia Meloni si è infatti impegnato a versare ingenti finanziamenti al governo di Kaïs Saïed e alla guardia costiera tunisina per controllare le partenze dei migranti dalle coste tunisine, in particolare dalle città di Tunisi e Sfax, due dei principali punti di partenza per il Mediterraneo. Questi accordi non sono una novità: già precedentemente erano stati siglati altri tra UE e Tunisia per rafforzare i controlli alle frontiere sia tra Tunisia e gli altri stati africani che sulle frontiere marittime grazie a un controllo delle acque del Mediterraneo.

Questi dati sono stati salutati con entusiasmo dal governo di Giorgia Meloni e in particolare da Matteo Piantedosi, Ministro dell’Interno, che ha ricordato che quello di giugno è il nono mese consecutivo in cui si registra questo calo degli arrivi. Ciò che non emerge da questi dati è che la diminuzione degli sbarchi significa un aumento della politica repressiva nei confronti dei migranti anche grazie a progetti come quelli dei Cpr in Albania sempre più prossimi all’avvio.

Deportazioni e criminalizzazione della solidarietà

Il versamento di finanziamenti nelle casse tunisine in chiave antimigratoria è stata denunciato da numerose associazioni solidali italiane. Respingere persone in un paese come la Tunisia, infatti, è stato ritenuto una violazione dei diritti umani, un estremo pericolo per tutte quelle persone che tentano l’attraversata del Mediterraneo. Nonostante infatti l’Italia consideri la Tunisia un paese sicuro il trattamento riservato ai migranti in territorio tunisino è assolutamente drammatico. Qui, infatti, come in altri stati come Marocco e Mauritania, i migranti, bloccati sulle coste tunisine e intercettati nelle acque del Mediterraneo, vengono riportati sulla terra ferma e spesso deportati in massa in aree desertiche limitrofe al territorio tunisino. Qui vengono abbandonati e costretti a camminare per giorni nel caldo torrido senza cibo né acqua, subendo forme di razzismo da parte della popolazione locale e soprusi da parte della autorità. A questo si aggiungono violenze quotidiane perpetuate da parte della polizia tunisina sui migranti accampati nelle città sulla costa mentre tentano di partire alla volta dell’Italia.

Oltre a ciò, negli ultimi mesi si è verificata una tremenda campagna repressiva nei confronti delle associazioni che in Tunisia si occupano dell’accoglienza di migranti e stranieri. «La situazione in Tunisia è molto peggiorata nei confronti degli stranieri come era stato in Libia qualche anno fa nel 2017. Questo ha portato a un rallentamento e a una diminuzione delle partenze e quindi anche degli arrivi», ha dichiarato Annalisa Camilli, giornalista di Internazionale ai microfoni del Podcast “Mondo”. Sono stati numerosissimi i giornalisti e gli operatori che hanno lavorato nell’accoglienza dei migranti in territorio tunisino e che sono stati poi arrestati e detenuti negli scorsi mesi, con l’obiettivo da parte del governo tunisino di insabbiare ciò che avviene in Tunisia e ridurre i solidali al silenzio.

Le morti nel Mediterraneo e il prezzo degli accordi tra stati

Alla diminuzione degli sbarchi non corrisponde ad esempio una diminuzione dei naufragi che continuano a verificarsi nella acque del Mediterraneo portando alla morte centinaia di persone, tra cui tantissimi bambini. Il 17 giugno è avvenuto un altro tragico naufragio nel Mediterraneo, non lontano dalle coste della Calabria, sulla stessa rotta su cui l’anno scorso si era verificata la strage di Cutro quando una barca con 180 migranti a bordo si era rovesciata a pochissimo dalle coste italiane provocando la morte di 94 persone, tra cui 34 bambini. Nonostante la risonanza mediatica dell’avvenimento, nulla è cambiato nelle politiche del nostro governo che si sono fatte anzi ancora più restrittive e quindi mortifere. Il 17 giugno, lo stesso giorno del naufragio che ha visto 66 dispersi tra cui 26 bambini, sono stati trovati i corpi di 10 migranti morti asfissiati in una barca partita dalle coste libiche.

Le politiche migratorie del governo italiano sono quindi chiaramente repressive, finanziando un Paese come la Tunisia che viola sistematicamente i diritti umani di tutti, migranti e solidali, nel beneplacito dell’Unione Europea e di Ursula von der Leyen.

«Sicuramente tutto questo ci dice che l’Europa che verrà, l’Europa dei prossimi anni, sarà un’Europa che sull’immigrazione vuole tenere il pugno duro. Questo significa stringere accordi con i Paesi d’origine e di transito per evitare il movimento delle persone e la libera circolazione. Alcune procedure giuridiche in contrasto con la cultura giuridica europea, come gli accordi che l’Italia ha siglato con l’Albania, sono un modello che l’UE trova interessante e da seguire, qualcosa che fino a qualche anno fa era impensabile»

riassume ancora Annalisa Camilli.

Arianna Locatelli

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