Partiamo da un dato scientifico: la scienza moderna esclude l’esistenza di “terzi poli”; ad onor del vero c’è da dire che Dirac ipotizzò l’esistenza di monopoli magnetici, ma fino ad oggi nessuna traccia, così come tutt’ora latitano penosamente le decenze di Matteo Renzi e Carlo Calenda. Ma resto persuaso dalla certezza che – nonostante la secolare ricerca – la teoria monopoli magnetici sarà immensamente più facile da verificare in natura.
Da queste parti la ragion d’essere di un terzo polo “politico” si realizza esclusivamente nel puro e semplice ricatto: in un paese politicamente instabile e puerile, i “terzi poli” tendono – per pura convenienza – a migrare verso la compagine politica più predisposta al compromesso per dar vita a governi di “cosiddetta” unità nazionale per poi diventarne l’ago della bilancia, o – per esser più precisi – la spina del fianco. Ed ecco che un’insulsa minoranza di “parassiti”, il cui peso politico era sino a quel momento pressoché nullo, diventa fondamentale. Da quel momento in poi con i capricci questa minoranza, attaccata e tirata su con lo sputo del clientelismo, detta letteralmente legge; le istanze lobbistiche di cui è smaccatamente depositaria si insinuano nei governi a “maggioranza allargata” di cui diviene parte essenziale. A quel punto ricattare è un gioco da ragazzi: “Sì, noi faremo passare questa o quella legge se voi ci salvate questa banca.” “Certo che vi appoggeremo, solo se voi dirottate parte di questi o quei fondi destinati alla scuola o alla sanità pubbliche a questo o quell’ente privato.” Insomma i “parassiti” fanno quel che vogliono perché in ogni momento possono decidere di abbandonare la maggioranza e far cadere qualsiasi risicato governo nel quale sguazzano allegramente come il prione del colera nei flutti della Senna nel 1832. Purtroppo – un po’ per tutti noi a dire il vero – le ultime elezioni politiche non hanno permesso al “terzo polo” di sfoggiare questo unico e morboso talento; le destre hanno stravinto in modo netto ed indiscutibile, tanto da realizzare un governo che non conosce letteralmente vergogna; e così il terzo polo si è ritrovato a bocca asciutta, un po’ come quei pesci remora ai quali muore di vecchiaia lo squalo bianco dal quale sgraffignavano gli avanzi. Insomma, sempre di predatori stiamo parlando, non se ne esce; dunque, questi orfani del rimasuglio non possono far altro che mangiarsi a vicenda, e a noi – di certo non innocenti spettatori – non resta che assistere a questa cruenta quanto ridicola mattanza.
Adesso Carlo Calenda, recitando in modo pessimo la parte della verginella che si risveglia, con scandalizzata sorpresa e scorata delusione, nel ridicolmente licenzioso postribolo della politica italiana, scopre che Matteo Renzi non è di parola. In effetti tale scoperta sconvolge un po’ tutti! Quando mai Renzi non è stato di parola? L’adamantina coerenza e inossidabile affidabilità del megalomane ex-sindaco di Firenze è nota a tutti gli sfinteri ancora infiammati con i quali si è alleato negli anni. Diciamolo, se proprio non voleva dar retta alla schiacciante evidenza dei fatti, il pariolino sceso dalla montagna del sapone poteva chiedere conferma in giro; gli bastava fermare chiunque per strada e chiedergli: “Mi scusi, secondo lei – dopo le elezioni – Matteo Renzi sarà di parola e scioglierà il suo partito per confluire in un partito unico di ispirazione centrista e moderata?” A quel punto le certe e inoppugnabili risate di inevitabile biasimo e derisione avrebbero fugato ogni dubbio, aprendo – come per magia – i suoi incolpevoli occhi foderati di finocchiona.
A dirla proprio tutta forse la realtà è un po’ diversa, in fondo qui parliamo di una relazione tendenzialmente malata sin da suoi patetici esordi. Nel caso in questione ci sono due narcisismi di segno opposto a confronto: quello smaccatamente “overt” di Renzi, il tipico anaffettivo e autoreferenziale “sborone”, la cui empatia è paragonabile a quella di un termosifone rotto a gennaio inoltrato, sempre pronto a suggere – a mo’ di vampiro – ogni effluvio vitale che gli capita a tiro. Renzi è un narcisista da manuale: la classica tipologia di individuo le cui mitomanie devono sempre esser sottoposte ad una feroce ed inesorabile tara. Se lo senti dire: “io e Obama, mentre montavo il teletrasporto alla sedia di Steven Hawking, abbiamo parlato del destino dell’universo”, sai benissimo che in realtà, mentre i grandi parlavano, lui veniva mandato al cesso a buttare nell’umido il pannolone usato di Kissinger.
Calenda, invece, appartiene al narcisismo lagnone, quello “covert”, più incline all’ utile e interessato vittimismo, nel quale l’ego ipertrofico si manifesta e si consolida nella crocifissione perenne, nella continua e incessante immolazione di sé ad una paranoica causa più grande e nobile. Calenda è la crocerossina immarcescibilmente convinta che “con il suo amore assoluto e incondizionato” riuscirà a dare all’omino di latta riciclata un’anima vera, corredata di tutti gli annessi e i connessi, optional inclusi.
In fondo questi due si amano, e anche profondamente, ma come ogni grande amore malato, deve restare irraggiungibile! Esso perderebbe ogni significato e tutta la sua sostanza se dovesse, malauguratamente, concretizzarsi. Calenda smetterebbe di amare Renzi se quest’ultimo manifestasse un minimo di coscienza e umana partecipazione, e Renzi non amerebbe più Calenda se d’un tratto smettesse di provocarlo di continuo chinandosi con la scusa di cercare le lenti a contatto color azzurro cielo perse sul pavimento.