“(…) è calcio anche il nome di un gioco, proprio e antico della città di Firenze, a guisa di battaglia ordinata, passato da’ Greci a Latini, e da’ Latini a noi.”
Nel 1612 il primo vocabolario italiano degli Accademici della Crusca ci consegna una definizione del gioco del calcio che racchiude al suo interno la storia e l’evoluzione di questa millenaria disciplina sportiva.
Un viaggio nel tempo inseguendo i rimbalzi di un pallone lanciato dai Greci e idealmente raccolto dall’Inghilterra della prima metà dell’ottocento, patria universalmente riconosciuta del football moderno.
È però sulle sponde dell’Arno, in pieno Rinascimento, che vengono per la prima volta stilate le regole di quello che sarà poi noto come calcio storico fiorentino o calcio in livrea.
DA EPISKYROS E HARPASTUM…
Difficile, attenendosi alle fonti storiche, risalire all’origine di un gioco tanto elementare come quello della palla.
Volendo restringere il campo d’indagine al suolo europeo, i primi cenni provengono dalla Grecia, dove il grammatico Giulio Polluce, mentore fra l’altro dell’imperatore romano Commodo, nella sua opera Onomastikón narra di un gioco in voga soprattutto nella Sparta del VI secolo a.C. detto episkyros.
Due squadre composte dallo stesso numero di giocatori, schierate in un campo delimitato da tre linee orizzontali, di cui una centrale (la skyros) che lo divide a metà e due alle spalle dei rispettivi schieramenti. Un gioco di squadra il cui scopo era lanciare il pallone alle spalle della compagine avversaria così da farla retrocedere al di là della linea alle sue spalle, il tutto condito da scontri fisici violenti.
Antenato dell’odierno rugby è invece l’harpastum, gioco in voga in tutto l’impero romano e probabile erede dell’episkyros in seguito alla campagna di conquista greca del III-II secolo a.C. ad opera dell’allora repubblica romana.
Il nome è figlio della latinizzazione del termine greco harpastón (strappato, portato via).
Non vi sono regole certe ed è possibile che il gioco subisse variazioni a seconda di dove si svolgeva, mentre è certa la sua diffusione in tutte le province dell’impero in quanto particolarmente amato e praticato dai legionari.
Scontri fisici, zuffe, placcaggi e colpi proibiti rendevano l’harpastum un passatempo perfetto, oltre che un valido allenamento, per i soldati in attesa della battaglia; una commistione tra ludo e lotta.
In entrambi questi giochi antichi la palla era spesso un agglomerato di stracci, stoppa o lana, di piccole dimensioni che poteva essere calciata coi piedi o lanciata con le mani e che doveva superare una linea di fondo per veder assegnato il punto.
…AL CALCIO FIORENTINO
Secondo la tradizione degli storici fiorentini, il calcio in livrea altro non sarebbe che l’evoluzione dell’harpastum in riva all’Arno.
Forse sfuggito alle cronache per diversi secoli perché praticato dai ceti più popolari in campi di ritrovo e con regole sempre cangianti, del calcio storico fiorentino non si hanno notizie documentate almeno fino al 1400.
È però accettata come comune la tesi secondo cui la memoria storica del gioco tanto in voga presso i legionari romani sia sopravvissuta ai secoli diventando uno svago amatissimo dai fiorentini tanto da essere esportato persino Oltralpe.
Una evidente similitudine tra il calcio storico fiorentino e l’harpastum romano si può riscontrare nello schieramento dei giocatori, in tutto e per tutto una disposizione in stile bellico: quattro linee orizzontali parallele che riecheggiano il modo di disporsi delle legioni, con i veliti davanti, subito dietro gli astati e i principi e i triari, pesantemente equipaggiati, a comporre le linee arretrate.
Allo stesso modo, in una partita di calcio storico, troviamo in prima linea gli Innanzi o Corridori, agili e veloci, seguiti dalla linea degli Sconciatori, il cui gravoso compito è quello di bloccare i Corridori avversari. Per ultimi i Datori Innanzi e i Datori Indietro, ultimo baluardo difensivo contro gli attacchi avversari e coloro i quali fanno ripartire l’azione di attacco in caso di riconquista della palla.
LE REGOLE
Si deve all’illuminato Giovanni Maria de’ Bardi dei conti di Vernio, storico, letterato e uomo d’armi del tardo 1500, l’istituzionalizzazione del gioco del calcio storico, quando, nel 1580, tracciò nero su bianco le regole divertimento preferito dai fiorentini.
Nel suo Discorso sopra il gioco del calcio fiorentino è contenuto il primo regolamento ufficiale delle gare che si disputavano nell’arena di piazza Santa Croce.
Il testo conta 33 regole, quasi tutte ereditate dalla rievocazione moderna. Le squadre erano ugualmente composte da 27 giocatori, di cui 15 corridori, 5 sconciatori, 4 datori innanzi e 3 datori indietro.
Lo scopo era quello di segnare la “caccia”, l’odierno gol, depositando la sfera oltre lo steccato, l’ultimo baluardo prima della fine del campo di gioco, rispettando una serie di divieti (falli) e disposizioni. Alla squadra vincitrice era donata (regola ancora in atto) una vitella di razza chianina.
Nessun compenso monetario è mai stato corrisposto agli atleti in gioco sin dalla prima partita.
UN GIOCO PER TUTTI
Nonostante sia accertato come il calcio fiorentino, nella sua veste istituzionalizzata, fosse ad esclusivo appannaggio di nobili e ricchi, gli unici a poter partecipare alle gare e alle opulente manifestazioni di corredo, è altresì noto come il gioco del pallone fosse un’autentica ossessione anche fra i ceti popolari.
Se infatti il gioco è sopravvissuto sin dai tempi delle conquiste romane lo si deve al volgo che lo praticava praticamente ovunque fosse possibile.
Vie, viuzze, campi e piazzole si trasformavano in terreni di scontro dove contendersi la palla e dar prova di coraggio e qualità fisiche.
Guai a parlare di violenza fine a se stessa: il calcio storico fiorentino nella sua massima espressione era un autentico spettacolo in cui dar prova di valore e stile, come dimostrano gli abiti indossati dai “calcianti”, le livree, da cui scaturirà il nome del gioco.
IL CALCIO STORICO OGGI
Progressivamente scomparso dagli annali con l’estinzione della dinastia Medici nel 1737 e l’avvento in città dei Lorena, il calcio storico fiorentino dovrà attendere quasi due secoli prima di rivedere la luce.
Fatte salve le vie della città, dove probabilmente il gioco non scomparve mai del tutto nonostante i divieti affissi per le strade siano ancora testimoni oculari, è nel 1930 che si disputerà nuovamente la manifestazione in livrea.
La rievocazione si deve al gerarca fascista Alessandro Pavolini che, in occasione della ricorrenza del quattrocentenario dall’assedio di Firenze, volle rimettere in scena il gioco precedentemente così in voga in memoria dello storico difensore di Firenze Francesco Ferrucci.
Le sfide che tutt’oggi si disputano per il divertimento di fiorentini e turisti sono infatti la rievocazione storica della più celebre tra le partite del calcio storico fiorentino.
“LA” PARTITA
Era il 17 febbraio del 1530 e Firenze era sotto l’assedio del re asburgico Carlo V, assedio che avrebbe portato alla fine dell’esperienza repubblicana.
Un momento critico per la città e i suoi abitanti, ma non abbastanza da scoraggiarne il senso di appartenenza e di attaccamento alle tradizioni. Alla partita presenziarono infatti tutte le massime autorità cittadine come beffarda risposta alle cannonate che giungevano da fuori le mura.
Un concetto reso ben esplicito dallo storico Benedetto Varchi nella sua Storia Fiorentina:
“Alli 17 i Giovani, sì per non intermettere l’antica usanza di giuocare ogn’anno al Calcio per Carnasciale, e si anco per maggiore vilipendio de’ nemici, fecero in sulla Piazza di S. Croce una partita a livrea; XXV Bianchi, e XXV Verdi, giocando una vitella: per essere non solamente sentiti, ma veduti, misero una parte di sonatori con trombe, e altri strumenti in sul comignolo del tetto di S. Croce; dove da Giramonte fu loro tratto una cannonata; ma la palla andò alto, e non fece danno a nessuno.”
Per la rievocazione fu scelta come nuova sede della finale la prestigiosa Piazza della Signoria, essendo ormai inagibile lo storico campo di Piazza S.Croce, mentre le gare iniziali si svolsero (solo per alcuni anni)nel giardino di Boboli.
Di lì in poi, fatta eccezione per il periodo bellico, nel giorno di San Giovanni patrono di Firenze, si disputa in Piazza S.Croce la rievocazione del calcio storico fiorentino.
Partecipano quattro squadre, rappresentati i quartieri storici della città: i Bianchi di Santo Spirito, i Verdi di San Giovanni, i Rossi di Santa Maria Novella e gli Azzurri di Santa Croce.
APPROPRIAZIONI INDEBITE
Per il suo carattere fortemente radicato con la città e i suoi costumi, il calcio fiorentino ha conosciuto e conosce patetiche strumentalizzazioni, quasi sempre di carattere politico, volte a dare lustro a figuranti e comparse di scena.
Tra esse si conta il tentativo di Simone Di Stefano, fondatore del gruppo dei fascisti del terzo millennio (sic!), che nel 2018 definiva il calcio storico fiorentino, al pari del Palio di Siena, “identità da salvare” inserendo le manifestazioni in un più ampio “ragionamento” tipico della retorica sovranista. Un affronto a cui risposero istituzioni e cittadinanza, come nel caso del presidente dei Bianchi Marco Baldesi che definì un “oltraggio” l’utilizzo del gioco per fini elettorali, a maggior ragione da parte di neofascisti.
Qualche anno prima il giornalista e regista Pif, in un reportage per la serie “Il Testimone”, aveva portato alla luce le connessioni dirette tra alcuni calcianti e le loro appartenenze politiche, disegnando un quadro in cui i gruppi neofascisti, attratti dalla violenza e dal carattere tipicamente virile e gagliardo del gioco, tentavano di monopolizzarne l’appartenenza e di indirizzarne la partecipazione in favore dei loro seguaci.
Alessandro Leproux