Da troppi decenni il movimento calcistico femminile, in Italia, lotta per ottenere ed approdare nel fatidico mondo del professionismo. Politica e pregiudizi hanno reso il sangue amaro alle nostre calciatrici, ma oggi il grande passo sembra assai vicino. Soprattutto perché si può contare sulla presenza di un nuovo promotore: il ministro dello sport Vincenzo Spadafora.
Il calcio femminile ha sempre vissuto nell’ombra del palcoscenico sportivo italiano, ma dopo la comparsa della nostra nazionale W ai recenti mondiali disputati in Francia nel 2019, qualcosa è cambiato nella mente di spettatori e dirigenti. Ciò che è sempre mancato al calcio rosa italiano è lo status di professionismo, importante per la tutela dei diritti di tutte le calciatrici in campo. Può sembrare un aspetto assai banale per chi non segue queste donne talentuose destreggiarsi nel rettangolo da gioco, ma è un’ingiustizia vera e propria se pensiamo che tale obiettivo è stato raggiunto dai movimenti calcistici femminili di quasi tutta Europa.
L’emergenza da Covid-19 ha causato una brusca frenata allo sport più seguito in Italia. Il gioco del pallone intrattiene milioni di tifosi agli stadi e di fronte alla TV ormai da parecchi anni, e la situazione sanitaria odierna sta mettendo a dura prova la pesante economia che gira attorno al movimento calcistico italiano. Non si fa altro che discutere di un’imminente ripresa dei giochi nei rettangoli verdi, ma ovviamente tutti i riflettori sono puntati sul calcio prettamente maschile, quello che fa girare vorticosamente l’economia suddetta.
Vincenzo Spadafora, paladino del calcio femminile italiano
La ripresa dei campionati femminili non ha certamente avuto la stessa risonanza e ricevuto grande attenzione dai media in generale rispetto a quelli maschili. Ma il ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, ha spiazzato un pò tutti ( soprattutto quelli a cui sta a cuore la questione) attraverso il suo intervento, ai microfoni del Tg3, avvenuto pochi giorni fa. Difatti, dopo aver dato spazio alle sue considerazioni riguardo le attese necessarie alla ripresa dei campionati, ha focalizzato il suo discorso sull’introduzione dell’agognato professionismo nel calcio femminile italiano.
La sua principale volontà è quella di accelerare l’iter legislativo che potrebbe portare a tale risultato. Le donne del nostro calcio aspettano da troppo tempo questa manna dal cielo, e le parole di Spadafora fanno ben sperare.
“Il presidente Gravina sta facendo un ottimo lavoro sul calcio femminile e io tra l’altro sto già lavorando a una richiesta importante: nella riforma dello sport, che sicuramente porteremo in approvazione entro l’estate, dobbiamo prevedere anche il professionismo femminile”
Vincenzo Spadafora
Perché è importante il professionismo per il calcio femminile italiano
Quando parliamo di professionismo nel calcio femminile non vogliamo riferirci automaticamente al raggiungimento della parità salariale con quello maschile. Tale obiettivo è assai difficile da raggiungere al giorno d’oggi e non soltanto nell’ambito calcistico, purtroppo. Da tanto tempo ci si batte per la parità nei diritti lavorativi tra uomo e donna ma il business in gioco tra i differenti generi ha una diversità proporzionale enorme.
Il calcio italiano femminile richiede a gran voce, da anni, l’approdo al professionismo per ben altri motivi.
Se ci pensiamo una calciatrice di Serie A si impegna come una vera professionista: allenamenti quotidiani, trasferte, continui viaggi, ritiri. Ma la figura lavorativa di questa, in quanto definita dilettante, vede pochissimi diritti e zero tutele. Parliamo di donne, ed ognuna di queste deve aver diritto ad una mirata salvaguardia che concerne maternità, assicurazioni e piani pensionistici, ad esempio. Se consideriamo, inoltre, le altre realtà calcistiche femminili d’Europa notiamo come queste possano contare su delle economie molto più ricche delle nostre e così anche la possibilità di competizione con queste si allontana notevolmente.
Il calcio femminile italiano, ad oggi, non è in grado di offrire contratti superiori a 30.658 euro e con un’estensione massima di due anni. Ovviamente le stesse società calcistiche devono essere in grado di sostenere l’economia di un club professionista. E’ importante tener conto che il cambiamento di status da dilettante a professionista comporterebbe un aumento dei costi e del mantenimento delle società stesse. Il processo necessita, quindi, di cura e dettaglio, affinché sia le calciatrici che le società possano godere delle giuste salvaguardie.
Gli ostacoli al professionismo negli anni…
Sarebbe superfluo, ma è giusto specificare e ricordare come il mancato professionismo del calcio femminile italiano abbia delle basi innanzitutto culturali e sociali. Calciare un pallone è sempre stata considerata, erroneamente, un’azione per soli maschi. Di conseguenza la stessa politica italiana è stata direttamente influenzata da tale pensiero sessista e solo da qualche anno le cose sembra stiano prendendo una piega diversa e di speranza.
Se guardiamo indietro al passato, la strada è stata sicuramente complicata dalla legge n. 91\1981 che ad oggi è ancora in vigore. Questa considera
“(…) sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici, che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l’osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica.”.
Ma in Italia, attualmente, sono professionistici soltanto quattro sport ed esclusivamente per il genere maschile: calcio, basket, golf e ciclismo. Anni fa è stata proposta la modifica secondo la quale si chiedeva lo stato di professioniste anche alle donne praticanti quei quattro sport; sia in veste di giocatrici, allenatrici o preparatrici. Inutile dire che tale richiesta è stata immediatamente bocciata. Ma l’Italia è uno dei paesi più influenti d’Europa. Le altre big godono di un’emancipazione femminile sportiva tale da essere ammirate da molti stati del mondo. L’Italia meriterebbe certamente la stessa fama.
La svolta professionistica del 2019
L’11 Dicembre 2019 qualcosa di sconvolgente è avvenuto. I senatori Tommaso Nannicini e Susy Matrisciano hanno presentato un emendamento alla Legge di Bilancio che ha aperto le porte del professionismo al calcio femminile. Questo ha introdotto un esonero contributivo totale per tre anni, sino a un tetto di otto mila euro, per le società che stipuleranno con le loro atlete contratti di lavoro sportivo ai sensi della legge del 1981. La FIGC ha accolto con favore l’emendamento, dichiarandosi quindi favorevole all’introduzione del professionismo nel calcio femminile.
Le ipotesi della Federazione prevedono l’applicazione di tale normativa dalla stagione 2021\2022. Ma chissà se grazie all’attuale Ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, e alle sue volontà espresse, questo non avvenga prima del previsto. Noi lo auguriamo vivamente a tutte le calciatrici che giocano da sempre professionalmente nella nostra Nazione.
Gabriella Gaudiano