Calcio femminile, dalla Norvegia all’Italia, polemiche sulla discriminazione di genere. Sport considerato ancora oggi patrimonio dei maschi, vi sono e ci sono sempre state discriminazioni di genere. Qui di seguito vi racconterò la storia di una ex calciatrice che per rabbia e discriminazione abbandonò tale sport.
Maria, così la chiameremo, sin da piccola giocava a calcio per strada con i maschi. Si presentava al campo sportivo del paesino quando gli altri ragazzini facevano gli allenamenti. Per simpatia, qualche volta la lasciavano partecipare. Finalmente un giorno trovò una squadra di calcio femminile, nella quale entrò a far parte.
La ragazzina, si impegnava ed otteneva buoni risultati, sino a giocare ad alcune partite di serie A femminile. In genere giocava nella seconda squadra, data la giovane età, con la quale riuscirono ad arrivare in testa alla classifica.
Le difficoltà per poter praticare questo sport erano notevoli. La squadra non aveva un campo a disposizione per poter svolgere le partite di campionato. Tutte le domeniche in cui era prevista la partita in casa, dovevano elemosinare pagando, in qualche paese, la disponibilità del campo da calcio. La maggior parte dei genitori si autotassavano, per far si, che ci fosse il necessario.
Spesso, mancavano giocatrici, non si presentavano alle pertite, perché i propri genitori, essendo femmine, non avevano piacere che praticassero questo sport. Sport che doveva essere di “proprietà” dei maschi. Maschi che, quando andavano a visionare le ragazze giocare, non mancavano di lanciare offese sessiste da bordo campo.
La decisione di abbandonare questa passione del calcio femminile, giunse quando all’ultima partita di campionato, che designava il passaggio di categoria la, squadra si presentò al campo da calcio del proprio paese e il campo era impraticabile. La società gerente del campo lo aveva lasciato privo dell’erba. La giustificazione fu che avevano confuso il giorno. Giustificazione alla quale Maria non credette. Già le parve strano che, per una sola volta le avevano dato la possibilità di giocare nel campo del paese, del quale sia lei che la stessa squadra ne facevano parte.
La squadra, così perse la partita a tavolino, con in più, ovviamente i punti di penalità. Di conseguenza perse anche il campionato e la promozione. La delusione e lo sconforto furono enormi. Maria pensò che da grande avrebbe voluto fare l’assessore allo sport del suo paese, per dare la possibilità a maschi e femmine di praticare lo sport che più li avrebbe appassionati. Senza differenza di genere. Non ha mai fatto l’assessore, non si è mai nemmeno candidata, ha preferito lasciare anche questo spazio ai maschi. Ad un uomo, tutto ciò non sarebbe mai accaduto.
Detto questo, infastidiscono notevolmente, gli ultimi commenti di certi articoli, su giornali nazionali, che infieriscono sulla notizia di parificare gli stipendi tra calciatori e calciatrici.
Tale proposta parte dalla Norvegia, una tra i paese più civili al mondo, presa anche in considerazione dal Ministro Maria Elena Boschi. Tra questi giornali vi è “Il Foglio” che in alcuni articoli specifica: “il calcio era rimasto uno dei pochi luoghi ancora orgogliosamente maschilista…”. Nello stesso articolo aggiunge: ” In Norvegia hanno molto tempo libero, e quando non lo passano a ubriacarsi o suicidarsi si fanno venire in mente idee come quella annunciata un paio di giorni fa….” E poi paragoni tra calciatrici e calciatori con tanto di nomi.
Se Maria, fosse nata in Norvegia, avrebbe sicuramente avuto maggiori possibilità di giocare a calcio. Non sarebbe stata discriminata. Probabilmente sarebbe stata al pari o anche meglio di molti calciatori. Ma siccome il calcio deve restare dei maschi, meglio non dare possibilità, altrimenti potrebbero sentirsi defraudati anche da questa loro ” eccezionalità”.
La paura di perdere spesso fa essere scorretti. In Italia di scorrettezze ce ne sono a bizzeffe, altro che la Norvegia.
Raffaella Presutto